Sangue chiama sangue


Oggi 8 settembre 2018. A 75 anni da quello che io definisco (come molti) il giorno della vergogna per l’Italia vorrei anche io, oggi, occuparmi di quella fatidica data ma non per giudicare chi avesse ragione o torto ma condurre un breve excursus storico su di un argomento poco conosciuto e poco discusso il perché nn ci fu guerra civile al Sud. Confesso che documentarmi nn è stato facile e sfido chiunque a farlo, non ho nessuna pretesa di scrivere un capitolo della nostra storia, ma far conoscere il valore di molti che decisero di rimanere fedeli all idea in un territorio il Mezzogiorno effettivamente occupato da eserciti nemici aspetto altro poco discusso in quanto i libri parlano sempre di liberatori ma mai di occupanti nonostante si fossero macchiati degli stessi crimini dei tedeschi.
Nella primavera del ’43 Carlo Scorza, segretario del PNF, propose di preparare, fra gli organizzati del Partito, una forza clandestina di resistenza nella previsione di una imminente invasione. Mussolini aderì alla proposta e suggerì anche il nome dell’organizzazione: “Guardie ai Labari”, ma impose di darle un carattere esclusivamente ideale, senza fornire armi.
E’ evidente che questa precauzione fu presa per evitare che nelle terre occupate avvenissero sanguinose rappresaglie. A capo Badoglio di voler continuare la guerra a fianco dell’alleato tedesco.
Per chi non ha vissuto il clima dell’era fascista potrà essere opportuno chiarire che l’amore per la Patria era l’imperativo sovrano di ogni fascista, perciò in quel frangente nessuno osò pensare di arrivare a nuocere alla Patria in guerra con aperte lotte intestine. Ma, appena fu chiaro l’inganno con la rivelazione palese dell’armistizio, l’attività clandestina fascista ebbe un notevole impulso: gruppi clandestini fascisti sorsero spontaneamente un po’ dappertutto e mentre al Nord, costituendosi la RSI, migliaia di volontari si presentarono alle armi, nelle terre invase la lotta clandestina fu avviata con lo stesso rabbioso stato d’animo, pur tra mille difficoltà e superando proibitivi ostacoli di comunicazioni, assoluta mancanza di mezzi, persecuzioni e deportazioni, sfidando bandi dell’invasore
dell’organizzazione fu posto il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, colonnello dei paracadutisti, pluridecorato, valoroso combattente di tutte le guerre, più volte ferito.
Seguì il 25 luglio e, naturalmente, venne messa da parte l’idea di creare formazioni clandestine. Tuttavia Pignatelli ritenne di continuare la preparazione della futura attività clandestina.
Intanto, già il 27 luglio nasceva spontaneamente – a Trapani – il primo gruppo clandestino fascista nella Sicilia invasa. Mentre i fascisti del resto d’Italia, e sui vari fronti, venivano frenati nei loro impulsi di ribellione dalle continue dichiarazioni ufficiali del governo
che comminavano la pena di morte per i sabotatori e per i detentori di armi.
Da più parti si tentò e talvolta si riuscì a prendere contatto con la RSI, passando clandestinamente le linee. Furono scoperti imbarcazioni a motore MAS che stavano effettuando la traversata del Tirreno partendo dalla Sardegna per approdare sulle coste della RSI.
Valerio Pignatelli aveva preso accordi con Barracu prima dell’invasione della Calabria e da lì teneva contatti radio col Nord.
Le direttive che giungevano dalla RSI erano costantemente orientate ad evitare spargimento di sangue fraterno. Tuttavia, alcuni gruppi clandestini spontanei si spinsero a svolgere attività terroristica con l’uso di esplosivi.
In Sicilia gli Alleati, avendo scoperto il primo gruppo clandestino fascista a Trapani, avevano processato quei giovani, fra cui una ragazza, condannandoli a pene varie. Salvatore Bramante, riconosciuto colpevole di sabotaggi e di detenzione di armi, fu condannato a morte. Analoghi processi gli Alleati svolsero contro gruppi organizzati di fascisti clandestini ad Agrigento e a Lecce, ma poi preferirono lasciare al governo Badoglio l’onere e l’impopolarità di perseguire i fascisti clandestini. I Tribunali militari territoriali di guerra furono investiti della responsabilità di processare le bande armate dei clandestini, ma gli italiani dei Tribunali militari non se la sentirono di infliggere pene capitali ed invece di applicare il codice militare di guerra usarono disinvoltamente il codice penale, molto meno drastico, così la costituzione di bande armate fu derubricata in associazione a delinquere. Tuttavia i processi portati a compimento furono pochi e tutti finirono per sgonfiarsi definitivamente nell’amnistia del 1946.
Dai carabinieri reali, dai questori, dai prefetti giungevano al governo della “King’s Italy” i rapporti sull’attività clandestina dei fascisti. I CC.RR. della Sardegna nel maggio ’44 concludevano in un rapporto ufficiale che dagli elementi raccolti si aveva “la certezza dell’esistenza nell’isola di focolai fascisti che covano desideri di rivincita……”
In effetti l’organizzazione clandestina fascista sia in Sardegna sia nelle altre regioni occupate, aveva coinvolto anche militari di ogni grado in servizio. Inoltre erano avvenuti tumulti, manifestazioni pubbliche, erano apparse scritte sui muri, circolavano giornaletti clandestini e volantini scritti a mano o a macchina, sicché‚ appena il governo Badoglio decise la chiamata alle armi, ci furono cortei di protesta, tumulti, assalti ai municipi ed alle caserme dei carabinieri. In particolare in Sicilia i fascisti, che in un primo tempo avevano avversato apertamente i separatisti, cambiarono radicalmente tattica e si inserirono in tutte le manifestazioni separatiste portando cartelli inneggianti al Duce e scritte di manifesta concezione fascista. In Sicilia, dunque, appoggiandosi ai separatisti e strumentalizzandoli non appena possibile, i fascisti furono protagonisti di rivolte armate che coinvolsero, oltre le forze locali, anche le truppe badogliane inviate in tutta fretta dal continente a sedare le sommosse che avevano già registrato parecchi morti e feriti.
Continuò a resistere la “Repubblica di Comiso”, dove gli insorti respinsero decisamente sia i carabinieri reali sia i reparti regolari dell’esercito badogliano appoggiati da carri armati. I fascisti, guidati dall’Ing. Carrara, dichiararono la repubblica indipendente dal governo regio con ordinamenti di chiara ispirazione fascista.
Poi, il 13 gennaio 1945, circondata da ingenti forze corazzate e soprattutto per la minaccia esplicita e concreta di indiscriminati e devastanti bombardamenti aerei da parte degli inglesi, la “Repubblica di Comiso” capitolò. Bilancio delle perdite umane: tra i badogliani due ufficiali, un sottufficiale e quindici tra carabinieri e militari di truppa, ventiquattro soldati feriti; tra i rivoltosi diciannove morti e sessantatré‚ feriti; duecentonovantacinque furono arrestati e deportati nell’isola di Ustica. Mussolini non voleva spargimenti di sangue italiano perciò a Valerio Pignatelli furono date chiarissime istruzioni di “non spargere sangue fraterno sul sacro suolo della Patria”. Sollecitato a recarsi in RSI, lasciandosi però la possibilità di tornare al Sud, Pignatelli riuscì ad ottenere un lasciapassare, ma soltanto per la moglie, attraverso i buoni uffici del tenente di vascello Paolo Poletti, inoltrato nell’OSS americano. La principessa Maria Pignatelli, donna di rarissime virtù, dotata di altrettanto ardimento, spirito di iniziativa e fede fascista quanto il marito, attraversò le linee, rischiando la vita sui campi minati, s’incontrò con Barracu e quindi fu portata in aereo da Mussolini, che voleva essere minutamente informato sull’attività clandestina fascista.
Alla Principessa Mussolini diede ancora precise istruzioni di non provocare spargimento di sangue fraterno. Al ritorno la Principessa, che era stata spiata al Nord, fu arrestata e subito dopo lo fu anche il Principe. Paolo Paoletti fu torturato fino ad impazzire in una villetta alle pendici del Vesuvio dove gli anglo-americani tenevano i loro “interrogatori”, fu poi rinchiuso nel carcere di S. Maria Capua Vetere e assassinato da un sergente americano, che aveva predisposto un fasullo tentativo di fuga per crearsi una giustificazione.
La Principessa fu due volte messa al muro-inscenando finte non parlò. Nulla si ottenne dagli interrogatori del Principe, che fu processato e condannato dal Tribunale militare territoriale della Calabria.
A capo dell’organizzazione clandestina fascista, dopo l’arresto di Pignatelli, si avvicendarono prima l’avv. Nando di Nardo e poi l’arch. Antonio de Pascale, in tempi successivi anche loro arrestati e deferiti al Tribunale militare.
Tra le altre attività si era scoperto a Napoli, in via Broggia n. 3, l’alloggio di Palmiro Togliatti, che all’epoca si nascondeva sotto il nome di copertura Ercole Ercoli.
Sarebbe stato facile sopprimerlo, ma anche in questo caso Mussolini si oppose allo spargimento di sangue tra italiani. In effetti Mussolini volle sempre evitare spargimento di sangue fraterno e bloccò sul nascere lo scoppio della guerra civile nel Sud.
Non fu certo così per gli antifascisti, che da radio Bari incitavano ferocemente ad uccidere alle spalle altri italiani in RSI per provocare deliberatamente le reazioni di fascisti e tedeschi coinvolgendo la popolazione civile nei massacri.
Sangue chiama sangue.