Battaglia NAVAle


Lo scorso giovedì il presidente della Consob, Mario Nava, ha rassegnato le dimissioni a seguito della valanga di polemiche che hanno coinvolto il capo della vigilanza dei mercati finanziari il quale al momento della nomina – concordata tra Bruxelles e il governo Gentiloni – si è rifiutato di mettersi in aspettativa dalla Commissione Europea di cui è dirigente e aveva accettato l’incarico alla Consob in distacco da Bruxelles per soli tre anni, nonostante l’incarico alla vigilanza dei mercati ne duri di norma sette. Al momento di dimettersi Nava ha dichiarato: “Il non gradimento politico limita l’azione della Consob in quanto la isola e non permette il raggiungimento degli obiettivi sopra ricordati”. Nel comunicare le sue dimissioni è stato lo stesso Nava a rivendicare queste competenze: “Sono stato chiamato a questo incarico in quanto esperto autorevole delle norme e dei regolamenti finanziari europei che disciplinano il mercato italiano. Sono stato chiamato con l’obiettivo di rilanciare il mercato e rilanciare l’Autorità nelle sue funzioni di vigilanza e protezione del risparmio e dell’investimento. Sono stato chiamato con l’obiettivo di integrare la Consob meglio nei vari consessi europei e internazionali. Ho accetto l’incarico con gioia e entusiasmo. Ora però queste mie caratteristiche e questi obiettivi sembrano essere considerati un insormontabile ostacolo”.
In realtà l’ostacolo ‘politico’ è rappresentato dal fatto che l’attuale governo gialloverde non vede di buon occhio dopo aver fatto valere il suo doppio voto a favore di TIM, tanto che una nota congiunta dei capigruppo M5s e Lega di Camera e Senato ribadiva che Nava “è incompatibile con la presidenza di un’autorità indipendente italiana”.
Per di più vi è stata la presa di posizione dell’Assonime che ha chiesto a Nava di rimanere al suo posto scatenando l’ira dei pentastellati, che facendo riferimento alla posizione dell’associazione tra le società per azioni, molte delle quali quotate in Borsa e quindi vigilate proprio dalla commissione, hanno parlato di una “lobby molto interessata che si è già attiva per proteggerlo”
Quella di Nava è stata la presidenza Consob di più breve durata, sebbene le sue competenze fossero innegabili, soprattutto in confronto al suo predecessore Giuseppe Vegas, esperto di diritto canonico (sic!).
Vegas aveva lasciato al termine del mandato lo scorso novembre, anch’egli travolto da polemiche e inchieste, non ultima quella sulle banche venete e su quelle tosco-marchigiane che vede coinvolta (e prima o poi ne dovrà rispondere, auspichiamo) anche una buona parte della famiglia Boschi.
Al suo posto l’allora ministro delle Finanze P.C. (nomen omen!) Padoan e il suo premier Gentiloni avevano concordato con la Commissione Europea una mossa che – nelle loro intenzioni – avrebbe dovuto mettere a tacere ogni voce contraria proprio grazie alla professionalità indiscussa di Mario Nava. La scelta era di per sé ottima e l’operazione, vista da lontano, pareva inappuntabile.
Purtroppo il diavolo sta nei dettagli, che in questo caso coincidono con la tassazione dello stipendio del dottor Nava, il quale è stipendiato direttamente da Bruxelles con una ritenuta fiscale del 7% anziché del 40 e fischia che si applica agli italici redditi!
La sua posizione amministrativa è stata valutata e approvata da ben 4 istituzioni: Commissione europea, Presidenza del Consiglio, Presidenza della Repubblica e Corte dei Conti. Questo però non significa automaticamente che sia eticamente valida, anche perché le 4 suddette istituzioni non sono indipendenti tra di loro, quindi senza insinuare alcuna malversazione rimane il dubbio su quello che a Napoli prenderebbe il nome di ‘combutta’.
Viene quindi da chiedersi se la scelta di operare “in distacco” dalla sua sede di lavoro è stato dettato da opportunità (peraltro legittime, come detto, anche se eticamente discutibili) più che da altre (e più nobili) motivazioni.
A pensare male si fa peccato, diceva spesso quel vecchio marpione di Andreotti, ma spesso si indovina…