Una spedizione diventata leggenda


Quando il “Times”, nei giorni scorsi, ha pubblicato la notizia, la cosa non sembrava vera. A più di 100 anni dall’affondamento della “Endurance”, una missione scientifica inglese ha deciso di rimettersi sulle tracce della leggendaria  nave di Sir Ernest Shackleton. Partirà all’inizio del 2019 e sarà guidata dall’esploratore  Julian Dowdeswell. Cercherà soprattutto il relitto di quella che è considerata da sempre il simbolo e l’”ultimo atto” dell’epoca delle spedizioni antartiche.
Il gruppo è stato, prima di tutto, incaricato di studiare la piattaforma antartica Larsen C., ma i ricercatori, a bordo della “SA Agulhas II”, arriveranno a toccare l’ultima posizione della “Endurance”. Come ha spiegato alla BBC lo stesso Dowdeswell, “sarebbe vergognoso” non provare a individuare il relitto dell’Imperial Trans-Antarctic Expedition, affondato in una zona dove, ancora oggi, è difficile compiere delle ricerche.
Quando partì da Plymouth con la benedizione della Corona inglese, la spedizione aveva l’obiettivo di attraversare il Polo Sud,  dal Mare di Weddell (Oceano Atlantico) al Mare di Ross (Oceano Pacifico). Un coast to coast dell’Antartide.
L’equipaggio, lasciò le coste inglesi  il 1 agosto 1914, tre giorni prima della dichiarazione di guerra. Dopo alcuni mesi di navigazione, il 19 gennaio del 1915, la nave rimase intrappolata nei ghiacci dell’Antartico. Per settimane si cercò in tutti i modi di liberarla, ma senza alcun successo. Così, i 28 uomini dell’equipaggio furono costretti ad abbandonare l’imbarcazione e trascorrere a terra l’inverno, con una temperatura di meno 25 gradi centigradi. Ernest Shackleton, nel suo libro “South!”, al II capitolo, scriveva: ”La nostra posizione al mattino del 19 gennaio era: lat. 76°34´S., long. 31°30´W. Il tempo era buono, ma era impossibile avanzare. Durante la notte il ghiaccio aveva circondato la nave e dal ponte non era più possibile vedere mare libero”.
Il 9 aprile 1916 Shackleton e i compagni riuscirono a calare in acqua le scialuppe di salvataggio, mettendo in salvo la strumentazione, le provviste e i cani. Dopo cinque giorni di navigazione raggiunsero l’Isola Elephant. Il comando della spedizione venne lasciato a Frank Wild, che utilizzò per ripararsi dal gelo le due scialuppe rimanenti. Shackleton, invece, accompagnato da cinque uomini (Frank Worsley, Tim McCarthy, John Vincent, Thomas Crean ed Harry McNish), proseguì la traversata a bordo della “James Caird” e, trascorse tre settimane e percorsi 1.500 chilometri, raggiunse l’arcipelago delle isole della Georgia del Sud; infine, dopo 36 ore di marcia sul ghiacciaio, riuscì a raggiungere le basi delle baleniere, trovare riparo e contattare i soccorsi. I compagni lasciati sull’isola, vennero tutti portati in salvo tre mesi dopo, il 30 agosto 1916.
La Corona inglese, impegnata nella Guerra, non riuscì a finanziare, in tempi brevi, una spedizione di salvataggio. Nonostante l’insuccesso della missione, la vicenda della “Endurance” rimase nella storia e nella leggenda, proprio per il fortunoso salvataggio dell’equipaggio. Il 21 novembre 1916, la nave fu distrutta dalla pressione del ghiaccio e affondò.
“……nella “Endurance” avevo riposto ambizione, speranza e desiderio. Adesso, gemendo e stridendo, mentre i suoi legni si spezzano e le sue ferite sanguinano, sta lentamente morendo, proprio ora che la sua carriera era appena iniziata”. (Ernest Shackeleton, South!, cap. IV.).