La febbre del Nilo colpisce ancora


Ancora un decesso in Italia a causa del virus del Nilo occidentale, un morbo importato dall’Africa come la stessa denominazione fa supporre.
Il nome della malattia, infatti, viene dal distretto di West Nile in Uganda, dove è stato isolato per la prima volta nel 1937 in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi. La malattia ha un andamento endemico-epidemico e inizialmente risultava diffusa soprattutto in Africa (specie in Egitto), Medio Oriente, India.
La modalità principale di trasmissione del virus del Nilo occidentale è rappresentata da diverse specie di zanzare, che sono il primo vettore. Tra queste, in particolare, riveste un ruolo primario il genere Culex. Ovviamente tutti i fattori che favoriscono la proliferazione delle zanzare, come ad esempio le piogge abbondanti, le irrigazioni dei terreni agricoli o condizioni climatiche con temperature alte, determinano un importante aumento del numero dei casi di contagio.
Gli uccelli, siano essi stanziali, migratori o domestici, giocano un ruolo cruciale nella disseminazione del virus essendo l’animale più comunemente infettato e rappresentando il primo serbatoio. Tra gli uccelli sono soprattutto i passeriformi, il più grande ordine di uccelli, a rappresentare il serbatoio naturale del virus. Gli uccelli migratori permettono invece lo spostamento del virus dall’Africa, prima zona endemica, verso altre zone temperate. Le zanzare, in particolare del genere Culex, pungendo gli uccelli migratori asportano sangue infetto, infettano sé stesse e quindi ogni altro animale, uomo compreso, di cui assumono il sangue successivamente.
E, proprio perché le zanzare sono il vettore per l’infezione umana, tutti i fattori che favoriscono la proliferazione delle zanzare, come ad esempio le piogge abbondanti, le irrigazioni dei terreni agricoli o condizioni climatiche con temperature alte, determinano un importante aumento del numero dei casi di contagio.
Il periodo di incubazione della malattia, ovvero il periodo compreso tra l’infezione e lo sviluppo dei primi segni e sintomi, è tipicamente compreso tra 2 e 15 giorni.
I sintomi iniziali dell’infezione da virus del Nilo occidentale sono rappresentati dalla comparsa di febbre moderata che in genere perdura da tre a sei giorni. Ad essa si associa spesso un senso di malessere generalizzato, anoressia, nausea, cefalea (mal di testa). Si tratta, come si vede, di una tipica sintomatologia simil influenzale.
Ad essa può fare seguito la comparsa di dolore oculare, mal di schiena, mialgie (dolori muscolari), artralgie, tosse, eruzioni cutanee, linfadenopatia e dispnea (difficoltà a respirare). Alcuni pazienti possono sviluppare disturbi che interessano in modo particolare l’apparato gastrointestinale. In questo caso il quadro clinico è dominato da nausea, vomito e diarrea.
Nel 15% dei casi, specie in pazienti deboli o anziani, possono insorgere gravi complicazioni neurologiche quali meningite asettica, encefalite oppure meningoencefalite che possono portare alla morte.
É stato questo il caso di Eda Taffurelli, 77 anni, deceduta a Mantova solo pochi giorni fa, la diciottesima vittima del virus in Italia solo considerando il corrente mese di agosto.
Numeri di una certa importanza, quindi, che attestano la nostra impotenza a fronteggiare questa minaccia. Non c’è infatti cura specifica contro questa malattia e tutto si gioca sulla prevenzione nel senso di limitare la diffusione delle zanzare bonificando le zone in cui le acque ristagnano, installando zanzariere alle finestre e utilizzando repellenti anti zanzara sulla pelle.