Un papa dimenticato


Paolo VI moriva, lontano dal Vaticano, nel silenzio della sua residenza estiva di Castelgandolfo, il 6 agosto 1978. Quarant’anni fa. Con lui, dopo i fulminei giorni di Giovanni Paolo I, finiva il papato italiano, ininterrotto dal 1523. Agli ecclesiastici italiani si riconosceva da sempre un’apertura sovranazionale, che li rendeva adatti al papato. Durante la Prima Guerra Mondiale, Benedetto XV esprimeva la convinzione che : “A questi benedetti stranieri, siano pure ecclesiastici, manca sempre qualche venerdì. La qualcosa li rende inferiori agli italiani, i quali sono maggiormente apprezzati. A loro, si riconosce maggior tatto, prudenza, calma ed equilibrio”.
Invece, dal 1978, gli italiani non sono stati apprezzati, quando, dopo la morte improvvisa di Papa Luciani, si scontrarono le candidature di Benelli e Siri, dietro cui c’erano diverse visioni ecclesiali e, perché no, la politica italiana. I cardinali sentirono aria di provincialismo e guardarono altrove.
Questo si verificò anche nei Conclavi successivi. In quello del 2013, il cattolicesimo italiano venne molto discusso, perché, secondo molti, non più capace di offrire candidati al papato. L’Italia, in qualche modo, è stata ridimensionata, ma di ciò se ne parlò poco. Quantomeno i suoi Cardinali non furono visti come figure di sintesi o carismatiche. Del resto Benedetto VI, l’unico Papa non carismatico dopo Wojtyla, si è dovuto dimettere.
Eppure l’italiano Paolo VI è stato un grande Papa, anche se oggi dimenticato. Fu soprattutto un grande italiano, dall’apertura universale, marcato dalla “brescianità” cattolica delle sue origini, lontana dalla “romanità” del Vaticano, all’epoca, corte pontificia. Brescianità significava fedeltà cattolica, ma anche italianità e apertura con simpatia al proprio tempo. Per questo, era un alieno nella Curia papale, dove lavorò dal 1923 al 1954, divenendo stretto collaboratore di Pio XI, prima e di Pio XII, poi. “Era una macchina da lavoro”, diceva di lui l’anziano cardinale Ottaviani, che lo aveva conosciuto da giovane e che lo considerava un “pericoloso riformatore”. Nel 1954, una “congiura di prelati” convinse Pio XII, che lo amava molto, a nominarlo Arcivescovo di Milano. Promozione giusta, ma per lui significava l’esilio. Ed alla morte di Giovanni XXIII, fu escluso dal conclave e dalla successione. La curia non perdonava a Montini l’impegno politico. Durante il fascismo, animò la “resistenza culturale” di universitari e laureati cattolici, la fucina della classe democristiana, che resse l’Italia dalla fine della guerra alla globalizzazione. Dal Vaticano, sostenne l’autonomia di De Gasperi e difese la DC presso Pio XII, in un mondo ecclesiastico, spesso nostalgico, dei regimi autoritari.
Convinto democratico e bestia nera di Franco e Salazar, vide nella DC il pilastro della democrazia italiana. “Fu l’unico Papa democristiano”, ha scritto lo storico Emile Poulat, “il Pontefice che più ha inciso nella storia politica italiana”. Per uno scherzo del destino, toccò proprio al Cardinale Ottaviani, annunciare, dalla loggia di San Pietro, il 23 giugno 1963, la sua elezione, dopo un conclave che non lo scelse a larga maggioranza. Paolo VI, capace di audacia ma attento gradualista, guidò la riforma della Chiesa a partire dai lavori del Vaticano II. Ma, dopo il 1968, non erano più tempi di gradualismo. Il movimento contestatore gli rimproverava l’insabbiamento delle speranze conciliari. Il cattolicesimo conservatore lo accusò di svendere la Chiesa di sempre e di causarne la crisi. I quindici anni di governo furono duri, segnati in parte dall’impopolarità, per un successore di Pietro lucido e moderno, ma senza il carisma di Giovanni XXIII e di Wojtyla. Papa Montini fu un “principe riformatore”, capace di ardite riforme, dando spazio alle Chiese nazionali, ma rafforzando il ruolo di Roma in un mondo plurale. Con la sua “brescianità” smontò del tutto la romanità della Curia per internazionalizzarla; si spostò fuori in vari viaggi internazionali; aprì il dialogo con tutti, anche con i regimi comunisti, persecutori della Chiesa, per salvare spazi di vita religiosa. I suoi ultimi anni furono amareggiati dal senso di fallimento del suo progetto riformatore, da lui stesso definiti “tempi d’incertezza e di disordine”.
Nel 1975, assai criticato, promosse il Giubileo, che rivelò un cristianesimo di popolo. Ebbe allora la percezione di rendere la Chiesa del XX Secolo sempre più idonea ad annunciare il Vangelo. Fu il suo testamento pastorale nell’”Evangelii Nuntiandi”, divenuto testo ispiratore per Papa Francesco. Questi canonizzerà Paolo VI, nel prossimo ottobre. Sarà un santo senza devozione popolare, quella di cui godono Roncalli e Wojtyla. Dovrebbe essere ricordato come un intellettuale ed un nobile politico, che ha intrecciato virtù religiose e civiche. E’ l’ultimo Papa italiano a lavorare per l’internazionalizzazione della Chiesa, riformatore e traghettatore della stessa nella modernità. Beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco, sarà proclamato Santo il prossimo 14 ottobre,  in piazza San Pietro, a Roma. A titolo di cronaca, insieme a Paolo VI sarà canonizzato Monsignor Oscar Arnolfo Romero Galdámez, Arcivescovo di San Salvador, nato a Ciudad Barrios (El Salvador) il 15 agosto 1917, ucciso in odio alla fede il 24 marzo 1980.
Giovanni Battista Montini è stato Pontefice dal 1963 al 1978. Nato il 26 settembre 1897 a Concesio, nella provincia di Brescia, venne eletto al soglio pontificio come successore di Giovanni XXIII, all’età di 65 anni. Durante gli anni del suo pontificato coltivò una profonda amicizia con il leader democristiano Aldo Moro. Nell’Italia da poco segnata dall’omicidio del leader della DC, il 1978 fu anche l’anno dei “Tre Papi”. In meno di due mesi, infatti, dopo la scomparsa di Paolo VI, il 26 agosto ci fu l’ascesa al soglio petrino di Albino Luciani, il “Papa del sorriso”, che vi rimase solo 33 giorni, morendo improvvisamente il 28 settembre. Infine l’elezione di Giovanni Paolo II, il polacco Karol Wojtyla, primo straniero dopo oltre quattro secoli e mezzo ed unico, proveniente da un Paese dell’Est, a regime comunista.  “L’anno dei tre Papi è stato l’anno dei tre padri”, ha commentato recentemente il Segretario di Stato Vaticano, Monsignor Pietro Parolin.
Il 1978 portò con sé anche altri cambiamenti profondi. Venne approvata la legge 180, la cosiddetta legge Basaglia dal nome di Franco Basaglia, che chiuderà i manicomi. Il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, si dimise a seguito delle polemiche innescate da voci su presunte irregolarità sue e dei suoi familiari. Il 9 luglio venne eletto un Avvocato di Savona, di 82 anni, socialista, icona dell’antifascismo, incarcerato e poi esule in Francia: Sandro Pertini, il “Presidente di tutti”.