Quelli del “Mayflower”


Nel Seicento, Chiesa e Stato erano talmente compenetrati tra loro, che ogni dibattito teologico era carico di significato politico-sociale. La Riforma del Secolo XVI aveva affermato la dottrina del sacerdozio universale dei credenti, distruggendo la tradizionale barriera fra laici e clero. I Principi germanici o scandinavi e i Consigli delle città libere, dopo averla abbracciata, avevano proclamato l’affrancamento del popolo cristiano dalla tirannide papale. Da queste premesse era discesa, come conseguenza politica, la fine del conflitto secolare tra potere laico e potere ecclesiastico, con la soppressione di quest’ultimo. Tuttavia si era profilato, pesante, il rischio, per il popolo cristiano, di passare dal giogo antico a un nuovo giogo statale. Cominciò, pertanto, quella che si potrebbe chiamare, a buon diritto, la Riforma della Riforma, cioè una lotta per la libertà spirituale dei credenti che muoveva , bensì, dai principii riformati, ma ne traeva conseguenze, via via, sempre più ardite. Già prima della fine del XVII Secolo, da questa lotta erano scaturite conseguenze politiche così importanti (come le due Rivoluzioni inglesi e la dottrina liberale di John Locke), da far sviluppare, poi, quelle istanze democratiche ed egualitarie di cui la Rivoluzione americana avrebbe rappresentato il trionfo. La crisi del “cesaro-papismo” aveva cominciato dall’anello più debole della catena delle Chiese di Stato: la Chiesa d’Inghilterra. L’anglicanesimo, infatti, non era il frutto di un grande messaggio spirituale, come quelli di Lutero, Zwingli e Calvino, ma di un compromesso realistico, fra novità protestanti e tradizioni medioevali, voluto dalla Regina Elisabetta, per avere nell’apparato ecclesiastico un “instrumentum regni”, grazie ad un episcopato di nomina regia. Presto, perciò, quel compromesso fu contestato da quanti volevano l’epurazione della Chiesa dai residui cattolici – ed erano detti, per tale motivo, “puritani” – a cominciare dall’episcopato. Fra i puritani, inoltre, alcuni intendevano sostituire i vescovi, nel governo della Chiesa, con organi collegiali elettivi (“concistori” o “presbiteri”, da cui l’appellativo di “presbiteriani”), sul modello delle chiese riformate del continente e della Scozia. Altri, sostenevano che per Chiesa si doveva intendere l’assemblea (ecclesia) locale dei credenti e che, pertanto, ogni singola congregazione aveva la pienezza dei doni di Cristo e non poteva essere subordinata ad alcuna autorità a lei esterna (da qui la denominazione di “congregazionalisti” o “indipendentisti”). Tradotta in termini politici, l’abolizione dell’episcopato significava una diminuzione del potere regio; il regime presbiteriano equivaleva ad un regime repubblicano o, almeno, ad un forte controllo parlamentare sulla corona; il congregazionalismo equivaleva ad un regime di autonomie locali, tendenzialmente democratico. Ma anche fra gli indipendentisti vi erano radicali e moderati: i primi ritenevano che la Chiesa d’Inghilterra fosse irrimediabilmente corrotta e che, perciò, i veri cristiani dovessero separarsi da lei; i secondi la ritenevano deviata gravemente dal Vangelo, ma non tanto da poter essere ricondotta sulla retta via. E’ intuitivo quale esplosivo sociale fosse contenuto nella posizione separatista: se la Chiesa era una contraffazione del Vangelo, anche la società sedicente cristiana, di cui era stata maestra e pilastro per secoli, era da ripudiare. I veri cristiani dovevano, pertanto, contrapporle un modello nuovo di società, che attuasse gli ideali evangelici di fraternità, di uguaglianza e di pace.
I Padri Pellegrini erano una congregazione di puritani separatisti, formatisi, ai primi del Seicento, nel villaggio di Scrooby, nello Yorkshire e fuggiti, nel 1608, in Olanda, per sottrarsi alle persecuzioni della corona e della Chiesa Anglicana. Per un decennio avevano avuto vita pacifica e prospera a Leyda. Poi avevano deciso di riprendere il loro pellegrinaggio e di andarsene in America. A questa decisione, avevano contribuito motivi diversi: l’imminenza della guerra dei Trent’Anni, nella quale l’Olanda stessa sarebbe stata coinvolta , ed il rischio di finire assorbiti nell’ambiente olandese, la cui temperie spirituale non soddisfaceva le esigenze della coscienza puritana. Ma soprattutto brillava ai loro occhi la speranza di poter costruire la vera società cristiana, in antitesi agli orrori del Vecchio Mondo. Per legalizzare lo loro impresa, nel 1619 si fecero rilasciare una patente dalla Compagnia della Virginia, alla quale Re Giacomo I aveva dato una concessione coloniale in America settentrionale. Per il finanziamento, si accordarono con un gruppo di capitalisti di Londra, impegnandosi a rimborsarli con i profitti della colonia. Assoldarono, così, una nave di modeste dimensioni, la “Mayflower”, su cui si imbarcò, però, solo una parte della congregazione; molti restarono a Leyda, in attesa di raggiungere quell’avanguardia con altre spedizioni. Su 101 partenti, 35 erano “Saints” del gruppo separatista; i rimanenti, “Strangers”, senza particolari qualifiche religiose. Diversi erano stati assoldati come tecnici, fra cui il Capitano Myles Standish, un veterano di guerra, assunto perchè esperto di cose militari. Fra i Saints vi erano alcune personalità importanti, sebbene la congregazione fosse composta da modesti campagnoli. A capeggiare l’impresa, fu eletto un tessitore, William Bradford. Benchè non ancora trentenne, spiccava per intelligenza e forza di carattere. Era un autodidatta; imparò l’olandese, il latino, il greco ed un po’ di ebraico, come provarono i libri che portò con se nel Nuovo Mondo. Non lasciò i maestri della fede riformata; aveva anche Macchiavelli, Guicciardini, Bodin e altri grandi del Rinascimento, compreso un manuale italiano di buone maniere. Il più anziano era invece William Brewster che, dopo gli studi a Cambridge, fu maestro della posta a Scrooby e tipografo a Leyda, dove aveva stampato libri puritani proibiti, che aveva spedito in Inghilterra di contrabbando. C’era anche un “gentleman” con istruzione superiore, Edward Winslow, la cui abilità come diplomatico e manager fu preziosa in America, specie nei rapporti con gli Indiani. I Pellegrini impiegarono 66 giorni nella traversata dell’Atlantico, stipati in una nave di appena 27 metri di lunghezza, sbattuta dalle tempeste. Il 21 novembre 1620 si trovarono a Cape Cod, sulle coste del New England, cioè ben più a Nord della Virginia e, dopo circa un mese di ricerche, trovarono un luogo adatto per stanziarsi e lo battezzarono Plymouth. Ma quasi metà di loro morì poco dopo, probabilmente per un’epidemia che, nei mesi precedenti, aveva decimato gli indiani del luogo. Si aggiunse, a travagliare i coloni, l’incubo della fame, che fu dissipato solo dopo primo raccolto, nell’autunno 1621. Bradford ordinò, per questo motivo, che fosse istituito un giorno per il ringraziamento a Dio: di qui, l’uso degli americani di celebrare il “Thanksgiving Day” il quarto giovedì di novembre. Abbastanza presto, comunque, la colonia trovò il proprio equilibrio economico, unendo all’agricoltura la pesca, creando con gli indiani il commercio delle pellicce ed aumentando la propria popolazione con l’arrivo di altri immigrati. Nel frattempo, avevano fatto una serie di esperienze importanti. Plymouth non rientrava nell’area prevista dalla Compagnia della Virginia. Prima dello sbarco, Bradford fece firmare, a tutti gli uomini adulti, una carta in cui si impegnavano a costituire un “corpo politico civile” e ad obbedire alle “leggi giuste e uguali”, che sarebbero state formulate. Nacque così il “Mayflower Compact”, un mezzo per prevenire l’insorgere di individualismi sfrenati fra gli “Strangers”. Ma era anche l’esempio di una formazione dello “stato per mutuo consenso”, che ben pochi equivalenti aveva in quel secolo. I Pellegrini erano ardentemente pii, ma non avevano un pastore fra di loro: dovettero quindi organizzarsi un culto fra di loro: un culto tutto di laici. Winslow, rimasto vedovo nella moria di cui si è detto, si risposò: si pose quindi il problema del rito con cui celebrare i matrimoni e i Pellegrini optarono per quello civile, ritenendo che, nel matrimonio, l’interesse della società civile prevaleva su quello della società religiosa. I rapporti con i Pellerossa furono stabiliti su basi di amicizia, che Winslow consolidò recandosi presso il villaggio del Capo “Sakem Massasoit”, caduto infermo, per assisterlo con cristiana fratellanza. Fallì, invece, il tentativo di gestire l’agricoltura in forma collettivista e fu giocoforza ripiegare sulla proprietà privata. Il che, Bradford commentò, scrivendo che “ciò dava ragione alle critiche di Bodin contro il comunismo”.
Plymouth, dunque, fu un’impresa coronata dal successo, malgrado le tribolazioni iniziali. Per la mentalità puritana, questo significava che Dio aveva mandato dure prove ai “Saints” per sondarne la fede, ma poi li aveva coperti di benedizioni, mostrando così il suo favore per la loro impresa. Dunque Dio aveva approvato i principi da cui i Pellegrini erano stati animati. Già nel 1629-1630, migliaia di puritani accorsero nel New England, come ad una nuova Gerusalemme. Ma la grande emigrazione puritana era guidata da colti intellettuali e da distinti gentlemen, anziché da modesti popolani. Era commovente che uomini di elevata condizione sociale lasciassero ogni agio e andassero ad affrontare tutti i disagi di una vita, tra foreste e selvaggi. Era inevitabile che fossero più moderati dei Pellegrini e quindi non fossero separatisti. Ancora più inevitabile era che la piccola Plymouth venisse oscurata dalla potente ondata dei “New Comers”. Bradford, allora, scrisse una narrazione “Of Plimouth Plantation” (in originale Plimouth, non Plymouth), perchè non si perdesse la memoria degli “Old Comers” e delle prodigiose dispensazioni di Dio, nei loro confronti. Era un popolano autodidatta, ma dalla sua penna uscì un capolavoro, che ancora oggi, a oltre tre secoli di distanza, non si legge senza restarne affascinati.