Il Marchionne ricordato dalla sinistra


Nella mattinata di mercoledì scorso (NDR: il 25/07/2018) l’Ospedale Univeristario di Zurigo ha diffuso la notizia della morte di Sergio Marchionne, avvocato e top manager di FIAT e di FCA che scompare all’età di soli 66 anni.
Affetto da sarcoma alla spalla destra, forse di tumore al polmone, sarebbe stato colpito da embolia cerebrale a seguito dell’intervento alla spalla teso proprio alla rimozione del sarcoma.
La morte, come riferito dai sanitari, sarebbe avvenuta per sopraggiunto arresto cardiaco.
Già alcuni giorni prima della sua scomparsa (NDR: il 21 luglio scorso), previdentemente, John Elkann aveva diffuso una lunga lettera ai dipendenti in cui definiva irreversibili le condizioni di salute di Marchionne nominando Michael Manley manager di FCA e di Louis Carey Camilleri per la Ferrari.
E, proprio a seguito di tale avvicendamento, avvenuto a pochi giorni dalla presentazione dei risultati trimestrali del gruppo e che definire repentino é riduttivo, sulla rete si sono scatenate ridde di commenti di compianto ma, più spesso, di incredibile acredine.
Sergio Marchionne é stato denigrato in questi post in molti modi spiacevoli, passando dal turpiloquio più pecoreccio a post apparentemente ricolmi di umano pietismo ma, in realtà, cinicamente ipocriti.
Leggiamo, solo come esempio, uno dei tanti post:

Chi era Marchionne?
Sembra che fumasse circa 100 sigarette al giorno, che dormisse 3 ore per notte, e che trascorresse la sua vita più sugli aerei che in terraferma.
È diventato ricchissimo, potente, osannato dai grandi della terra, padrone del destino di migliaia di lavoratori.
Ma non del suo.
Non è ancora morto, ma già tutti ne parlano al passato. Già l’hanno sostituito alla velocità della luce.
Ed ora giace in un letto d’ospedale – sembra – in condizioni irreversibili.
Come un uomo qualunque.
Come un operaio qualunque.
Perché la morte non risparmia nessuno, mette tutti sullo stesso piano.
Ed improvvisamente e senza preavviso, si sarà accorto che tutto il denaro ed il potere del mondo non valgono niente davanti alla vita, alla salute, e all’amore.
Nel bene e nel male, è stato un grandissimo manager. Ora è ritornato alla dimensione di uomo.
Di un uomo che sta morendo.
E sui social molte, troppe persone, gioiscono per questo.
E molte altre, ipocritamente, esprimono un dolore che non provano.
Personalmente confesso che non mi stava di certo simpatico, ma il sentimento che ora provo è solo di pietà.
Pietà per un uomo che, forse, non ha mai capito che in questo mondo siamo solo di passaggio.
E che la sua vita, sempre alla rincorsa del successo, in fondo non l’ha mai vissuta.
E che se andrà anche lui.
Senza portarsi via niente.
(Giulia Bettini)

La questione, evidentemente, si riferisce ai provvedimenti, dolorosi ma necessari, della politica di acquisizioni internazionali e del ridimensionamento del gruppo FIAT che Sergio Marchionne decise per salvare l’azienda (e buona parte dei posti di lavoro, anche dell’indotto) da una incipiente situazione di difficoltà. All’epoca dei fatti, infatti, si parlava più o meno apertamente di fallimento del colosso automobilistico italiano.
In FIAT (per volere di Agnelli) sin dal 2003, a giugno 2009 assunse la carica di Amministratore Delegato di Chrysler Group (ora FCA US) dopo una lunga ed aggressiva politica di acquisizione di marchi stranieri. Una politica, aspramente avversata dal vice presidente della Commissione europea, il tedesco Günter Verheugen che, evidentemente, voleva impedire che FIAT diventasse uno dei più grandi gruppi auromobilistici mondiali superando, di fatto, le aziende tedesche.
Una politica sicuramente aggressiva e, a tratti, spregiudicata ma giudicata necessaria da Marchionne per superare la profonda crisi mondiale in cui il settore auto era sprofondato e che rischiava di travolgere la FIAT, e con essa buona parte del sistema Italia, in una clamorosa deblacle.
Proprio per meglio fronteggiare il periodo di recessione, a cavallo tra gennaio e febbraio 2010, si determinò un aspro dibattito tra i vertici della Casa automobilistica torinese, il Governo italiano e i sindacati sull’opportunità di tenere aperto l’impianto di Termini Imerese che occupava quasi 2.000 dipendenti.
Ma questo fu solo il provvedimento più eclatante (e più controverso) firmato dal top manager in quanto nel corso della sua gestione Sergio Marchionne stilò una lista di stabilimenti FIAT da chiudere o ridimensionare.
Tali provvedimenti, ovviamente, diedero la stura a numerose critiche da parte dei sindacati e, ovviamente, dei media di sinistra.
Quello che, però, molti non considerano è che grazie alla coraggiosa strategia attuata da Marchionne, la casa automobilistica statunitense nel primo trimestre del 2011 è tornata all’utile e ha ottenuto un risultato netto operativo pari a 116 milioni di dollari salvando buona parte dei posti di lavoro FIAT, che aveva acquisito la Chrysler, e delle aziende dell’indotto.
Cosa rispondere quindi a questi benpensanti della rete?
Forse solo che tutti dobbiamo morire ma che la differenza la fa proprio il modo in cui abbiamo speso i giorni concessici dalla nascita alla morte.
La FIAT con Marchionne si è salvata da un disastro che avrebbe coinvolto ogni suo dipendente e, considerato anche l’indotto, travolto l’intera nazione. Ma per compiere questo “miracolo” il manager ha dovuto per questo fare scelte dolorose. È meritorio questo oppure no?
Dal punto di vista delle famiglie salvate (tante, considerato anche le aziende collegate a FIAT), si. Da quello dei cassa integrati o licenziati, molto numerosi anch’essi, no.
Si poteva fare altrimenti? Si, no, forse. Ma coi “se” e coi “ma” non si fa la storia e nessuno che oggi (stra)parla, a suo tempo non era là per dare soluzioni alternative valide ed attuabili.
E a chi obietta che il manager, a differenza dello studioso che scopre la penicillina, non merita il ricordo perché agisce solo per interesse personale (alcuni oggi sottolineano il “tesoretto” personale in azioni che Marchionne avrebbe accumulato) andrebbe fatto presente che è semplicemente impensabile ritenere che esistano persone solo buone o solo speculative come non esiste un mondo dove non ci sia chi dirige, e lo fa anche per personale profitto, e chi esegue. Non era così neppure nei regimi comunisti, tanto idealizzati qui da noi, ma dei quali tanto poco si sapeva di come davvero funzionassero le cose dal punto di vista delle persone comuni.
Come è tristemente umano, e molti commenti di questi giorni in rete ne sono la dimostrazione, che chi ha ruolo dirigenziale diventa automaticamente la causa putativa di tutte le sciagure e gli affanni di chi è mero esecutore e sogna un comunismo che, in realtà, non è mai esistito.