Mercato illibero


In situazioni più normali, sarebbe interessante constatare come l’opera dell’uomo di Stato consisterebbe nel sopprimere il mercato, o nel ridurne l’impatto quantomeno, interessante sarebbe far leggre a molti ns amministratori di Enrico Mattei, quando stringeva accordi energetici decennali con l’Iran o l’Algeria, sottraeva l’Italia, ma anche il paese produttore, alle variazioni imprevedibili e nevrotiche del mercato “spot” del petrolio: le due parti stabilivano un prezzo medio ed equo, conveniente all’Italia ma anche (soprattutto) al paese produttore, che poteva contare così su introiti certi e prevedibili per i suoi piani di sviluppo, e sottratti alla speculazione e ai ricatti delle Sorelle e del potere finanziario che sempre le accompagna, quando i “mercati” offrono al paese in difficoltà per mancanza di fondi, perché il petrolio è crollato, di indebitarsi… ciò che finisce regolarmente con l’esproprio, da parte del capitale, delle ricchezze del paese indebitato, che si ha cura di rendere insolvente. I generi essenziali di prima necessità vengono, quando occorre, sottratti al mercato. Fra questi, l’emissione monetaria: tale era il “matrimonio” fra Tesoro e Banca d’Italia di prima del 1981 (o di qualunque altra banca centrale nelle altre nazioni), per cui questa era obbligata a comprare i Buoni del Tesoro eventualmente invenduti sui “mercati”. Ciò calmierava gli interessi richiesti dall’usura internazionale, salvò dall’aumento del debito pubblico e salvaguardava l’autonomia politica nazionale, consentiva di fare politiche di pieno impiego (a prezzo di un po’ d’inflazione) e non mancanze dei fondi per programmi infrastrutturali che mai il “mercato” farebbe, richiedendo investimenti grandi e di lunga durata.La ratio etica, se volete, era che il lavoro del popolo (perché “il denaro comanda lavoro”) non poteva essere abbandonato alle mani della speculazione straniera assetata di rendimenti immediati, e non all’interesse generale di quel popolo che indebita. Sfido chiunque a sostenere che il sistema attuale di dipendenza dai “mercati internazionali” che giudicano il nostro debito pubblico, e del denaro creato al 98% dalle banche indebitando, sia meglio. Un trentennio di privatizzazioni dovrebbe averci finalmente fatto capire che “lo scopo della privatizzazione dei servizi pubblici non è mai stato ( neppure quello dei suoi più accesi zelatori) di migliorare il funzionamento dei servizi stessi, bensì di sostituirli con imprese aventi lo scopo di ricavarne profitto”.E’ lo Stato che innova, non il Mercato. Esempio, lo smartphone , vi spiego.Perdura il mito che lo Stato gestore sia burocrazia e spreco, mentre il capitale privato sarebbe il solo “creativo” e promotore di innovazione. E’ vero l’esatto contrario. Guardate il vostro smartphone, che vi fa così soli, nasce come apparato di guida dei missili da crociera. Esso funziona solo grazie a certi satelliti che nessun privato si è mai occupato di mettere in orbita ,come invece loro hanno fatto con i ns zebedei, né di mantenerceli . La fotocamera digitale è stata concepita per satelliti spia.La miniaturizzazione che rende il vostro telefonino tascabile, è il risultato di ricerche per ridurre i volumi nei satelliti artificiali e nelle testate missilistiche come la stessa internet è stato inventato e concepito non da privati, ma nei laboratori del DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) ente di Stato americano, del Ministero Difesa. Nessun privato avrebbe mai investito e rischiato i suoi amati capitali nello sviluppo di simili invenzioni, delle quali, prima, non c’era “mercato”. poi qualcuno é diventato miliardario, mettendo insieme i risultati delle ricerche militari in un oggetto commerciabile di successo; ma i veri geni che l’hanno inventato, sono degli sconosciuti signori americani che forse nn hanno nemmeno una pensione . Hanno lavorato alle dipendenze dello Stato, lo stato ha detto loro quel che voleva, lo stato ha finanziato le loro ricerche, quelle riuscite e le molte fallite, a fondo perduto e senza la preoccupazione di ricavare un profitto. Perché queste industrie tutte collegate con la difesa sono d’importanza fondamentale? Prima di tutto, per la loro funzione di progresso tecnico, cioè di investimento del patrimonio tecnologico nazionale, e di garanzia di indipendenza dall’estero in alcuni settori vitali, anzitutto la difesa ma anche per il loro contributo alla bilancia commerciale: infatti la prima voce di esportazione industriale di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Russia è l’aeronautica, cosa ben poco nota . Così Antonio Venier, in Il disastro di una nazione- Saccheggio dell’Italia e globalizzazione ,Padova, 2000, con prefazione di Bettino Craxi).Piaccia o no ai pacifisti, un paese che si priva delle industrie di alta tecnologia essenzialmente legate alla difesa, esce dal primo mondo. Per contro la Russia, con un prodotto interno lordo minore del nostro grazie alle sue industrie militari avanzate e ai suoi scienziati integrati in queste industrie è un protagonista geopolitico globale. Il Liberismo questa “scuola di pensiero” (prettamente ideologica, e poco economica, mi permetto di sottolineare), tende a caratterizzarsi, in generale, per la sua fedeltà e sottomissione a tre dogmi fondamentali: 1.“Nel campo economico esiste un ordine naturale che tende ad organizzarsi spontaneamente, purché gli individui siano lasciati liberi di agire, ispirandosi ai loro propri interessi.2. Quest’ordine naturale, è il migliore, il più capace di assicurare la prosperità delle nazioni; è superiore a qualsiasi altro ordinamento artificiale che si potrebbe ottenere attraverso l’impiego di leggi umane. 3. Non esiste nessun antagonismo, ma armonia tra i diversi interessi individuali, e l’interesse generale concorda ugualmente con gli interessi individuali. Questa armonia, forma l’essenza stessa dell’ordine naturale” (Pierre Reboud, “Précis d’Economie Politique”, Tome premier, Dalloz, Paris, 1939, pag. 52).Ora, senza dover superfluamente dare risalto al fatto che qualsiasi dogma (ad esclusione dei miei cattolici) è semplicemente la più grande offesa che si possa perpetrare nei confronti dell’intelligenza umana, vediamo cosa diceva, a proposito del “Liberismo”, il Dizionario di filosofia e scienze umane di Emilio Morselli, edito da Signorelli, a Milano, nel 1988: «Liberismo (o Liberalismo Economico): teoria secondo cui il modo migliore per promuovere lo sviluppo economico è quello di lasciare l’iniziativa privata in piena libertà d’azione, escludendo ogni ingerenza artificiale da parte dello Stato. Ipotesi di fondo del liberismo è l’esistenza di un ordine naturale in campo economico analogo a quello del mondo fisico; ne derivano due postulati: a) la concorrenza perfetta premia i migliori ed elimina i cattivi operatori; b) il meccanismo naturale dei prezzi che, in regime di libera concorrenza, trova il proprio freno nella legge della domanda e dell’offerta. Queste tesi del liberismo classico, elaborato dai grandi economisti settecenteschi (A. Smith, D. Ricardo, T. Malthus), non trovano più riscontro nella realtà economica moderna, sia nelle premesse che nelle conseguenze.Dagli anni ’90 del secolo scorso ad oggi, invece, si continua a cercare di convincere l’uomo della strada che il medesimo “Liberismo” sarebbe il nec plus ultra del progresso e dello sviluppo delle nostre società.Questo, nonostante che i suoi suddetti dogmi – ciclicamente attivati e, ogni volta, testardamente ed illogicamente messi in pratica (in particolare, tra il 1852 ed il 1890; tra il 1911 ed il 1915 e tra il 1920 ed il 1930, con i “risultati” che conosciamo…), irragionevolmente riproposti (negli anni 1950/1960, dalla “scuola di Chicago”: Milton Friedmann, Feldstein, Moore, etc.) e, dal 1992 (cioè, dopo la caduta del muro di Berlino ed il crollo dell’ex Unione sovietica), politicamente propagandati e fideisticamente diffusi come indiscutibili ed incontestabili abbiano, nel loro ricorrente confronto con la realtà, invariabilmente “toppato” su tutta la linea e si siano costantemente ed immutabilmente rivelati per quello che in realtà sono e sono sempre stati: una semplice mega-truffa planetaria, ai danni dell’uomo della strada, da parte dei soliti noti! affacciamoci nel mondo: c’è qualcosa di notevole e di promettente che si muove oltre il capitalismo? Nulla, in verità, nulla. Inesportabili i modelli economico-culturali dell’Oriente estremo, e quelli di Cina e India, dove tutto è diverso da noi: numeri, demografia, provenienza, forma mentis e cultura, classi e situazione sociale. Niente di diverso affiora in Europa, qualcosa forse di retrò e di pittoresco in sud-America, ma nulla che si adatti all’Europa.E allora il problema vero oggi non è l’avvento dei tecnici e il primato mondiale dell’economia, ma l’assenza di idee da parte della politica, la sterilità della cultura . Qual è il modello di riferimento culturale e politico, civile ed economico a cui riferirsi per superare lo squallido presente? Non c’è pensiero né chi metta in pratica. Il Nulla. Non vedi passione politica pura o amore di realtà, scorgo solo teorie che rispondono a teorie e citano teorie. Il mio terrore non è legato al dominio del Denaro ma all’assenza di ogni principio e valore , alternativo ad esso. E oggi? Se non esistono più valori occorre essere valorosi, dice Nietzsche, ossia caricare sulle spalle di eroici soggetti tutte le mancanze. Ma dove sono i valorosi in grado di compiere questa gigantesca Rivoluzione? Non s’intravedono. Ma è pur vero , che non possiamo accettare la fine di ogni pensiero e ogni cambiamento e rendere eterno questo presente che puzza di sfruttamento ottocentesco delle masse e il suo dominio economico.