La grande illusione


Una settimana fa scrivevo su queste pagine che, non avendo la sfera di cristallo, mi riusciva difficile ipotizzare gli sviluppi della crisi di governo.
Tutto lasciava presagire l’arrivo di un governo tecnico sotto gli auspici del Presidente Mattarella, il quale aveva censurato senza pietà il candidato a Via Nazionale presentato dal dinamico duo Salvini – Di Majo. Il professor Paolo Savona, ottantaduenne cagliaritano, non avrebbe avuto la sua occasione per sperimentare (forse) il suo “Piano B” con un progressivo ma ineluttabile allontanamento dall’Eurozona. In realtà il prof. Savona aveva più volte asserito che questo suo progetto era unicamente teorico e non avrebbe comunque potuto metterlo in atto stanti le attuali condizioni economico-finanziarie italiane, europee e mondiali.
Il punto in realtà era che Mattarella era spaventato dalle possibili reazioni dei mercati e dei partner europei, soprattutto di quella Germania a cui a volte sembra aver fatto voto di sottomissione, come del resto i tre ultimi governi. E’ noto che l’establishment tedesco non ama Savona, il quale si permise di asserire che la Germania persegue tuttora una politica economica che discende direttamente dal famoso Piano Funk, che prende il nome dal ministro delle Finanze del terzo Reich Walther Funk, di cui diremo più avanti.
Tornando a Paolo Savona, occorre dire che ciò che più ha spaventato il Presidente Mattarella e – assai probabilmente – i sostenitori del ‘vecchio ordine’ è stata probabilmente una frase pronunciata in passato dal vecchio professore cagliaritano:
“Ci ritroviamo con l’irreversibilità dell’euro – ovviamente di questo euro e non di quello che avremmo desiderato che fosse – nelle forme che impediscono il realizzarsi delle speranze che ne avevano suggerito la nascita: uno strumento per la crescita e la diffusione della pace e del benessere per tutti”.
Inoltre le posizioni euroscettiche di Savona trapelano molto chiaramente da molte sue interviste. Già nel 2012 l’economista, che aveva seguito l’allora premier Carlo Azeglio Ciampi nell’ingresso dell’Italia nell’Unione europea, aveva già visto le influenze negative di Berlino e aveva denunciato “il riproporsi, per fortuna in forme non militari, ma più subdole, della competizione conflittuale che ha causato le drammatiche vicende della guerra e aveva imposto una forte volontà di pace e guidato, sia pure tra sussulti, il processo di unificazione europea”.
Parlando ai tedeschi dalle pagine di un suo libro, Savona aveva sollevato il sospetto che stia “scivolando nuovamente sul piano economico nella direzione proposta dal Piano Funk del 1936. La politica economica che voi suggerite getta le basi per una disgregazione del sogno europeo di pace e di un comune progresso civile”.
In un’intervista televisiva del marzo 2013 Savona sosteneva: “Il modello di economia, e quindi di società (come deriva dall’analisi di Marx secondo cui l’economia determina la politica) applicato dai tedeschi non è, secondo Savona, che una continuazione del piano di Funk, il quale aveva proposto che la Germania fosse Paese d’Ordine, che tutte le monete dovevano comportarsi come il Marco tedesco, che l’industria la sapevano fare solo i tedeschi, per cui era giusto che si specializzassero, e il resto dei paesi – Italia compresa – dovevano dedicarsi all’agricoltura, al turismo e al benessere anche dei tedeschi. La differenza profonda, e questo è un bel salto di qualità e politico, è che la volevano imporre ‘manu militari’, con la forza, mentre oggi hanno inventato un meccanismo chiamato Europa Unita che porta gli stessi effetti e nella quale i tedeschi hanno questa posizione ideologica dominante”
Come scrive Antonio M. Rinaldi “…in pratica con l’euro, secondo Savona, la Germania ha obbligato le monete nazionali a confluire “nell’area del marco”. Non solo. Facendo leva sulla moneta unica e sul mercato comune è riuscita ad appropriarsi dello sviluppo industriale, lasciando spazio solo all’alleato “storico”, la Francia. A tutti gli altri Paesi europei avrebbe, invece, lasciato l’agricoltura e i servizi turistici. “Sono dalla parte di chi è convinto che la leadership di qualcuno o di qualche paese sia indispensabile non solo per la stabilità geopolitica, ma anche per il sano principio meritocratico secondo il quale, per il bene di tutti, deve vincere il migliore – chiosava, quindi, Savona – ma la leadership, soprattutto se praticata a livello sovranazionale comporta dei doveri in materia di sicurezza e di benessere, che (ad esempio) gli Stati Uniti hanno assolto egregiamente nel Dopoguerra”.
Da evidenziare che il concetto di “moneta generale” espresso da Funk, si sposa perfettamente con l’idea della creazione di una area valutaria da imporre al Continente con funzione aggregatrice per effetto della forza delle regole poste a suo supporto. Sono impressionanti le analogie e corrispondenze con l’attuale situazione che di fatto si è andata a determinare ai nostri giorni, se non costatando fortunatamente con sollievo, che l’originario Piano si sarebbe potuto concretizzare esclusivamente a seguito di preventive e solide conquiste militari, mentre l’attuale situazione si è determinata con il consenso di tutte le nazioni europee con la sola apposizione della propria firma sui Trattati, al punto da poter constatare che quella attuale non è altro che la variante “in tempo pace” del Piano Funk.
Secondo Savona, in Europa non avrebbe potuto fare quanto avviato in passato dagli Stati Uniti. “L’organismo biogiuridico dell’euro e quello delle politiche fiscali europee presentano un tipo di funzionamento che rivitalizza la sostanza del Piano Funk”, scriveva l’economista che, pur ribadendo la necessità di un’Europa unita e accettando il ruolo della Germania come “il Paese che pone ordine in Europa”, chiedeva “un contenuto diverso”. A partire, appunto, dalla moneta unica. “In assenza di sufficienti politiche compensative degli shock asimmetrici e di una vera libera circolazione degli input e degli output – spiegava – il cambio dell’ euro resterebbe per voi sottovalutato e per altri sopravvalutato e tenderebbe a inglobare nella vostra economia i flussi di capitali internazionali e la crescita industriale”. Una deriva che verrebbe accelerata dalle politiche fiscali europee. “Se non volete – concludeva Savona – che finisca ancora una volta male nelle relazioni tra i nostri popoli, non resta che ridiscutere seriamente quali debbano essere le correzioni da apportare ai patti che reggono l’Unione europea”.
Che dire? Un’analisi che leva il fiato tanto è lineare e priva di sbavature o preconcetti. Un’analisi disillusa che tenta di levare dagli occhi degli euroconvinti quel velo di illusione che ci sta trascinando verso un orizzonte degli eventi oltre il quale ci può solo essere un buco nero senza ritorno. E’ quindi ovvio che ai sostenitori più accaniti della moneta unica le tesi di Savona stessero comode come un crotalo nelle mutande e che cercassero in tutti modi di scrollarsi di dosso un nascente governo che gli faceva lo stesso effetto di un gattino attaccato ai marroni.
Ma i salti mortali della politica (soprattutto italiana) ci insegnano che niente è mai come sembra fino al momento in cui vengono apposte firme sui protocolli, ed anche stavolta il banco è saltato proprio quando i giochi sembravano fatti e Cottarelli aveva già pronta la sua lista dei ministri.
Per la cronaca il ministro dell’economia nazista Walter Funk, fu catturato e processato dal Tribunale di Norimberga che lo condannò all’ergastolo, mentre il professor Savona, ben lungi dall’essere stato censurato per le sue idee nonostante le lamentele di chi sbandiera democrazia e poi ci si sciacqua i pedalini, è uscito dalla porta del ministero dell’Economia (dove si è insediato il prof. Tria) ed è rientrato dalla finestra diventando ministro dei rapporti con la Comunità Europea.
Tradotto per il volgo: non volendo Dracula a capo di un esercito schierato contro i Turchi, lo abbiamo messo a presiedere l’AVIS!
Speriamo che queste poche considerazioni possano servire almeno di monito per chi sostiene questa Europa in modo da farli riflettere e aprire finalmente gli occhi dai pericoli non solo corsi in passato, ma che potremmo ancora correre in un prossimo futuro in assenza di politiche davvero condivise e di uomini e donne di governo in grado di percepirli in tutta la loro gravità, potenziale e reale.