Il Duce e il Re


Lo invocarono in molti , per anni, prima e dopo la Marcia su Roma: parliamo della “normalizzazione” del fascismo. Ma accadde che furono, invece, fascistizzati il Governo, il Parlamento, le Organizzazioni Sociali; in buona sostanza, il fascismo veniva “statizzato”.
Il 30 dicembre 1926, un Decreto-Legge dichiarò il “Fascio Littorio”, emblema dello Stato. Il 31 dello stesso mese, una circolare di Mussolini ai Ministri, stabilì che negli atti ufficiali, alla data del calendario, si aggiungesse quella dell’annuale fascista. Dagli atti ufficiali, la soggezione portò l’”Era Fascista” anche nelle comunicazioni private. Alla fine, non vi fu più un editore che osasse pubblicare un libro senza la doppia data. Nei primi giorni del gennaio 1927, il Sottosegretario alla Guerra, Generale Ugo Cavallero, veterano della Campagna Italo-Turca, ordinò che fossero resi gli onori militari alle insegne della Milizia e dei Fasci. Alla fine di quel mese, la Cassazione riconobbe alla Milizia stessa, il carattere di “Corpo Armato dello Stato” (ancorchè il suo capo rimanesse il Duce e non il Re). Agli inizi di marzo, il Fascio Littorio fu apposto sulle ali e sulle fusoliere degli aerei militari. Venne, invece, smentita immediatamente la voce che lo voleva affisso anche sulla bandiera. La “resistenza” a che ciò non fosse, venne direttamente dal Re, che tuttavia non osò esporsi direttamente, ma si servì di Luigi Federzoni, Ministro dell’Interno. E, forse, per farsela perdonare, Vittorio Emanuele III, il 29 maggio 1927, a Bologna, accese, nella Casa del Fascio, la lampada votiva dinnanzi ai Caduti fascisti.
La fascistizzazione dello Stato e la statizzazione del Fascismo, si congiungevano in Benito Mussolini, novello “Giano Bifronte”: Capo del Fascismo e Capo del Governo. Il termine “Duce” fu usato, da quel momento, costantemente nelle manifestazioni pubbliche. Fu introdotto solo molto più tardi, nella titolatura degli atti ufficiali: “Capo del Governo e Duce del Fascismo”. Il termine, dunque, seguitò in via istituzionale, a riferirsi al partito; ma nell’uso vivo e nella coscienza comune, Mussolini fu “duce” senza restrizioni, cioè Capo della Nazione, Capo dello Stato.
Qual’era, allora, il suo rapporto con Sua Maestà? Si parlò di “diarchia”, ma il termine era, al tempo stesso, troppo e troppo poco. Troppo, riguardo alla legalità, poiché rimaneva Capo del Governo, nominato dal Re e dal Re revocabile. Troppo poco, nella realtà, in quanto il Re, nelle nuove condizioni, aveva perduto qualsiasi occasione normale di esercizio della sua funzione suprema, avendo lasciato annullare ogni autorità concorrente con quella del capo del governo.
Intorno alla nuova figura del “duce”, senza precedenti nella storia del Regno d’Italia, anzi in tutta la storia moderna europea, si andava formando un alone di devozione e di esaltazione che non era finzione utilitaria, adulazione cortigiana, ma rispondeva ad una effettiva infatuazione popolare ed a una concezione sentimentale, non priva di elementi mistici. Era la religione del “ducismo”. Mussolini era qualcosa a parte; nessun altro si poteva confrontare con lui. Era un sentimento implicante la negazione radicale della libertà politica, dell’azione politica, della classe politica; era la negazione della dignità reale ed umana. Aspetto che fu ripetutamente contrastato dai suoi più stretti collaboratori e dalla stessa famiglia reale.
Illustra questo stato d’animo, un discorso del Segretario del Partito, Filippo Turati, ai fascisti fiorentini, il 9 maggio 1927: “Ogni giorno, su ogni piazza, i mille cuori del fascismo urlano le stesse parole, amore, devozione, disciplina, fedeltà fino al sacrificio. Ma poi avviene un piccolo episodio, appare il piccolo uomo, l’omuncolo, il ranocchio, la cornacchia, qualche volta un animale anche meno simpatico, anche più sudicio, che viene su così, all’improvviso e voi lo vedete improvvisarsi grand’uomo. Intorno a lui si forma il gruppetto e allora il piccolo uomo comincia a sentirsi uomo solamente coll’appellativo “uomo politico”. Brutta bestia, animale pericolosissimo”.
Dopo questa condanna dell’animale politico, cioè di qualsiasi pensiero politico, Turati concluse: “Io non reco al Duce il vostro plauso, ma reco la promessa che voi, da oggi e da domani, saprete servire tacendo e obbedire in umiltà”.
Questo discorso di Turati segna l’inizio ufficiale del periodo in cui Mussolini viene elevato in una sfera trascendente, fra cielo e terra, se non vogliamo parlare di una vera divinizzazione. Se non proprio Dio, il Duce è l’oracolo divino. “Il Duce ha sempre ragione”, come si disse poi, con un motto che taluni misero perfino sulla carta da lettere. Motto, questo, che, se in bocca a molti fu uno scherzo agro-dolce, da non pochi fu ripetuto con sincera convinzione.
E gli confluivano gli omaggi più svariati dalle diverse parti. A Capodanno del ’27, gli italiani fascisti dell’America latina regalarono al Duce un puma adulto e addomesticato. Il 16 marzo di quell’anno, un gruppo di “camicie rosse” garibaldine si recarono, guidate da Ezio Garibaldi (figlio di Ricciotti Garibaldi, nipote di Giuseppe), a riverire il Capo delle “camicie nere”, esaltandolo, con il loro omaggio, a erede e prosecutore dell’Eroe dei Due Mondi. Nel mese di aprile, la Società Romana di Storia Patria gli consegnò solennemente il Diploma di Socio; e Mussolini, mostrandosi ancor più degno dell’omaggio, annunciò i nuovi scavi di Ercolano ed il recupero delle navi di Nemi. Impresa quest’ultima, che divenne il simbolo della “romanità fascista”.
Anche dalla dinastia di Casa Savoia giungevano omaggi. Il 31 dicembre 1926, il Duca d’Aosta telegrafò a Mussolini: “Gradite, Eccellenza, il mio voto augurale. La luce del vostro genio conservi all’Italia la luce della sua gloria”. Con più riserbo, il Re non mancava le occasioni di esaltare il suo Ministro. Il 14 febbraio 1927, “Il Giornale d’Italia” riferiva una frase di Sua Maestà, a proposito dell’annunciata lezione di Mussolini a Perugia, dedicata a “Roma antica sul mare”: “Che uomo meraviglioso!”. La lezione, abbastanza banale, se vogliamo, non fu un avvenimento di particolare rilevanza. Eppure, al termine di essa, Ettore Pais, lo storico più famoso, a livello mondiale, sull’antica Roma, si congratulò con Mussolini: “Trenta e lode, Eccellenza!”.
Il Re, in occasione di colloqui privati con Marcello Soleri, uno dei più grandi liberali della storia del nostro Paese, parlava di Mussolini come di “un brav’uomo, che non pensa se non al bene della Patria”. Anche il Principe Umberto, erede al trono, che in quegli anni, fu più volte sospettato di sentimenti antifascisti, era ossequentissimo al Duce.
E’, questa, una storia di fatti, di uomini, di cose, che comunque fa parte del patrimonio del nostro incancellabile passato.