Un piano B per uscire dall’Europa


NDD: Vi proponiamo questo articolo, a firma di Vittorio Bobba, risalente al 29/05, ossia risalente solo pochissimi giorni fa. Poi, come tutti sapete, i fatti hanno preso in poche ore una piega differente al punto che il Presidente della Repubblica ha inviato il Prof. Conte a riprovare a sottoporgli un elenco di Ministri.
Sia come sia, ve lo proponiamo egualmente a testimonianza di una difficile pagina della politica italiana.
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Il presidente della Repubblica, garante della Costituzione, domenica scorsa ha pensato bene di mettersi in tasca proprio quella carta fondamentale e aderire, in modo nemmeno tanto recondito, alle richieste provenienti da quello che lui stesso ha definito gli ambienti economici e finanziari europei. I mercati, insomma. Proprio quei mercati che da anni ci tengono in ostaggio con la bufala dello spread, la quale ha sempre sortito l’effetto sperato proprio per quei ‘poteri forti’ che credono di poter disporre delle economie nazionali come dei carrarmatini del Risiko.
Ma andiamo per ordine. Più o meno tre settimane or sono, due mesi dopo il voto del 4 marzo, alla fine di un balletto che ha visto protagonista Giggino di Majo in bilico tra i due forni di PD e Lega, il M5S ha finalmente preso una posizione chiara (non ci pareva vero!) sedendosi al tavolo con Salvini e i suoi per stilare il famoso contratto di governo. Nelle loro intenzioni questo contratto avrebbe dovuto portare al cosiddetto ‘governo del cambiamento’, tanto sbandierato e in fondo amato da entrambi gli schieramenti, che in tale punto di arrivi vedevano il sublimarsi delle loro velleità di governo del Paese.
Dopo aver bruciato alcuni nomi anche importanti quali canditati a premier (quello che più ci dispiace è il nome del prof. Sapelli, illustre storico dell’economia e insegnante di chiara fama alla Statale di Milano), pareva che tutte le nubi si fossero diradate al comparire all’orizzonte del nome del prof. Giuseppe Conte.
Stimato da molti, ignorato dai più, Conte poteva effettivamente rivelarsi il deus-ex-machina della situazione, ed anche il Presidente Mattarella pareva ben intenzionato su tale nome.
Tuttavia i primi scogli sono emersi dalle acque non appena fatti i nomi dei personaggi destinati a due dicasteri fondamentali: Economia ed Esteri. Gli altri ministeri di peso, gli Interni e quello di Lavoro e Sviluppo, erano già stati accaparrati dai due leader di partito.
Ma, mentre sul nome dell’ambasciatore Giampiero Massolo sembrava esserci accordo, il Colle non voleva saperne a nessun costo di lasciare la poltrona di via Nazionale al prof. Paolo Savona.
Savona, per chi on lo conoscesse, era già stato Ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato sotto il premierato di Ciampi, di cui fu grande amico nonostante molti punti di vista divergenti tra i due. Ebbe poi incarichi di prestigio, tra cui amministratore delegato della Banca Nazionale del Lavoro (1989-1990), quindi Presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (1990-1999), di Impregilo, di Gemina, degli Aeroporti di Roma e del Consorzio Venezia Nuova (2000-2005). Tra il 2000 e il 2005 è stato consigliere di amministrazione di RCS e TIM Italia. Dopo essere stato vice presidente di Capitalia, all’atto della fusione con Unicredit, viene nominato presidente della Banca di Roma.
Ha servito anche sotto il governo Berlusconi e tralasciamo il resto del curriculum perché ci sarebbe da riempire un libro.
Ma in questa pletora di benemerenze e il prof. Savona pare essersi macchiato di una colpa inestinguibile per aver dichiarato (e scritto) che ci vorrebbe un piano B per uscire dall’euro.
Ecco fatto. Uno passa tutta la vita a crearsi una posizione e poi in quattro e quattr’otto due paroline in un libro vanificano tutto e alla soglia degli 82 anni ti ritrovi in braghe di tela a contare le barchette nel golfo di Cagliari.
Va detto che i detrattori di Savona non gliele hanno mandate a dire sin dal primo minuto, e forse questo battere sul tamtam non ha fatto altro che irritare ancor più i nostri partner d’oltralpe che a questo punto hanno a loro volta esercitato pressioni.
Al culmine della tensione c’è quindi stata, come tutti sapete, la rinuncia di Conte e dopo poche ore il conferimento del mandato a Cottarelli, persona stimabile e direi ovvia a questo punto della storia.
Con una lista dei ministri già pronta (come mai?) nel giro di 24 ore sarà pronto a giurare e quel che accadrà è ancora nel futuro.
Ma vorrei soffermarmi ad analizzare un punto fondamentale di questa brutta pagina di storia italiana.
A parte il fatto che il prof. Savona ha dichiarato (e scritto) che da ministro non avrebbe avuto nessuna intenzione di uscire dall’Euro o peggio ancora dall’Europa, si è capito chiaramente che il diniego del Colle deriva solo da un fatto: la paura di Mattarella di contrariare il partner europei più forti, ossia quelli che ci impongono lacci e laccioli e ci fanno lievitare il debito, salvo poi mazzolarci perché il debito è cresciuto troppo! Questa paura il Capo dello Stato l’ha ben mascherata alla voce “Non è gradito ai mercati e io sono qui a difendere i risparmi degli italiani”, ma intanto ha dato – da buon costituzionalista qual è – un’interpretazione molto personalistica dell’art. 92 della nostra Costituzione, che recita testualmente:
“Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.”
Come potete leggere da voi il compito del Capo dello Stato è di recepire la proposta del Presidente del Consiglio e di eseguire le nomine proposte. Non c’è scritto da nessuna parte che le possa discutere. Invece è proprio questo che domenica scorsa in Presidente ha fatto. Non riteniamo ci siano gli estremi per dichiararlo reo di alto tradimento e quindi metterlo in stato di accusa, ma è lampante che nonostante le belle parole di facciata (“ho accondisceso in tutti i modi, ecc”) ci fosse una precisa volontà di fermare sul nascere il governo del cambiamento. E così è stato.
Perché al di là delle scuse la verità è che il programma, o meglio il contratto dell’abortito governo comprendeva troppi punti scomodi, altro che l’uscita dall’Euro. Questa è stata il classico specchietto per allodole per bocciare punti ben più significativi come il ritorno all’acqua pubblica, una politica forte sui migranti, l’eliminazione di molte accise sulla benzina e della tassa sulle sigarette elettroniche, il superamento della legge Fornero, la revisione della direttiva Bolkenstein e delle politiche agricole e di bilancio, la riforma fiscale e la chiusura dei litigi tra i cittadini ed Equitalia. Ora invece Merkel, Macron e compagni di merende possono tirare un sospiro di sollievo, almeno per qualche mese, perché se il tentativo di Cottarelli non arrivasse ad avere la fiducia delle Camere il prossimo voto – probabilmente in settembre – si trasformerebbe in un plebiscito pro o contro l’euro, e questa volta in modo dichiarato. Il che fa presagire che molte alleanze dovranno essere riviste. Berlusconi che ieri avrà sicuramente stappato una bottiglia di champagne si troverà ad un bivio sapendo che potrebbe essere l’ultimo della sua vita, e Salvini incomincerà a pensare che, forse, senza un fardello così ingombrante come alleato forse potrebbe arrivare al premio di maggioranza in modo più agevole.
Ma come si comporterebbe il Presidente Mattarella se si trovasse di nuovo (e questa volta a seguito di un voto esplicito del corpo elettorale) a vedersi proporre il prof. Savona all’Economia? Potrebbe ancora fare la stessa manfrina? Secondo me no, e sarebbe molto peggio perché lo strappo istituzionale diventerebbe quasi insanabile, a meno di sue dimissioni.
Fino ad allora, però, dobbiamo fare i conti con la realtà, il che significa anche tentare di sterilizzare le clausole di salvaguardia imposteci dalla Gemania (ma guarda un po’!) che vedrebbero l’IVA salire progressivamente fino al 25% in due anni.
Tutto sta a capire cosa riuscirà a fare Cottarelli nei pochi giorni che avrà a disposizione. Potrebbe fare molto, come ad esempio modificare in modo significativo le voci di spesa bloccando così l’automatismo sull’IVA, lui che è stato campione della spending review, salvo poi essere sfanculato da Renzi quando questi ha capito che il professore faceva sul serio.
Potrebbe anche modificare il meccanismo del premio di maggioranza, ponendolo alla semplicissima soglia del “voto in più”, che forse vedrebbe contrari i pentastellati ma che sicuramente troverebbe una solida maggioranza in entrambe le Camere.
Infine potrebbe porre mano almeno alla bozza di una legge di bilancio che permetta al governo che seguirà di proseguire su un binario tracciato finalmente dritto e senza i soliti rischi di deragliamenti.
Perché ci vorrebbe così poco… Sarebbero sufficienti regole chiare e definite in modo coerente e uguale per tutti i paesi di questa strana accozzaglia di nazioni chiamata Europa. Ad esempio stabilire indicatori seri e condivisibili. Prendete il PIL: gia negli anni ’60 Bob Kennedy lo definì l’indicatore che misura tutto tranne ciò per cui vale la pena vivere! Prendete invece lo spread: esso misura lo scarto (o se volete la differenza) in centesimi di percentile tra il tasso d’interesse pagato dallo Stato italiano a chi gli presta denaro (acquistando ad esempio BOT) e quello pagato dal governo di Berlino a chi acquista gli omologhi titoli tedeschi (Bund). In parole povere, uno spread e quota 200 significa che i titoli italiani rendono il 2 percento in più di quelli tedeschi, ossia lo Stato italiano dovrà corrispondere alla scadenza un interesse maggiore al risparmiatore rispetto a ciò che riceverà il risparmiatore tedesco.
Il raffronto con il debito tedesco ci viene quasi naturali, giacché l’economia tedesca è la più forte d’Europa. Ebbene, vi siete mai chiesti a fronte di che i tedeschi misurano il loro debito? Ovviamente mediante lo spread tra i Bund e i titoli del Tesoro americano.
Orbene, sapete che mentre lo spread tra i nostri BOT e i Bund è cresciuto, è diminuito quello tra i BOT e i titoli della FED? Perché questo nessuno lo vuol dire? A chi non giova che si sappia?
Sono domande che potrebbero avere risposte ovvie o complicatissime, a seconda degli scenari e dei presupposti. Nell’attesa di vederci più chiaro, dobbiamo accontentarci di vivere alla giornata. Non possiamo prevedere ciò che accadrà nei prossimi giorni o settimane, e non avendo la sfera di cristallo possiamo solo stare alla finestra.
E sperare…