L’Italia che vorrei


Chi rinuncerebbe agli agi ed ozi dei nostri tempi, all’impunità e promiscuità di ogni genere legalizzata, al mese di vacanza estivo, alla tredicesima e ai premi produzione di un lavoro sempre più calpestato, di una tv ed internet che dettano i ritmi normali della vita, di governi e parlamenti che pensano e non agiscono, chi potrebbe rinunciare a tutto questo, condite il tutto con uno spruzzo di Barbara d’Urso una grattata di beautiful ed un pizzico di X factor ed il mondo quasi perfetto è fatto. Ma non è così, a me tutto questo non piace, sembra quella caramella ricoperta di zucchero bella da vedere, ma assaporandola vi accorgete che il sapore è amaro vi lascia quella sensazione di vuoto. Vorrei vivere in un paese dove non ci sia un uso improprio dei mezzi di comunicazione che invece di far elevare gli spiriti verso più alti lidi li appiattisce li annienta, viviamo un’ epoca fatta di egoismi dove i cellulari ed internet ci hanno resi soli, rancorosi ed analfabeti. Vorrei vivere in un paese dove ad ogni bar ad ogni angolo di strada si parli di politica, di bene comune, collettività, non di William e Kate se lo fanno 2 o 3 volte al giorno, vorrei politici votare una legge a favore del popolo sovrano e vedere un popolo non arrendersi alla dittatura democratica marxista che appiattisce gli animi e le intelligenze con il suo concetto di uguaglianza ma non per l’élite, vorrei vedere una società dove l’individualismo si metta al servizio della comunità, vorrei vedere le aziende che hanno delocalizzato ritornare, imprenditori fare gli imprenditori e non accaparrarsi le ricchezze del popolo con vergognosi aiuti di stato o sgravi fiscali, vorrei una Scuola con qualche dirigente preparato e meno politicizzato, una scuola dell’essere e non fondata sul tecnicismo una scuola che forgi menti pensanti e non servi del capitale. Vorrei raccontare un giorno alle mie figlie di un Paese dove non si muore da innocenti, dove un proiettile non ti trapassa il petto per caso, dove non ci si odia. L’Italia che vorrei è un’Italia che si oppone alle Italie in cui non mi riconosco: un’Italia ideale. Un’Italia coraggiosa, dignitosa, seria, un’Italia che non si consegna al nemico, che non si lascia ricattare o rincretinire dalle bestialità dei Politically Correct. Che va fiera della sua identità, che saluta la bandiera bianca rossa e verde mettendo la mano sul cuore e non sul sedere (Oriana Fallaci). L’Italia, insomma, che sognavo quand’ero ragazzo. Ora è arrivato il tempo dell’orgoglio della sovranità. Un’Italia più incline a rischiare su se stessa. Un’Italia che non cerca solo rassicurazioni, ma opportunità e che non ha paura di sperimentare. Un posto che sostituisce la paura che la immobilizza con la consapevolezza delle proprie potenzialità. Un posto che cresce perché crede in sé stesso e ci crede tutto intero, consapevole che solo il benessere collettivo può creare un benessere individuale duraturo. Un paese libero dai suoi istinti corporativi, che ha chiaro davanti a sé che ogni piccolo sacrificio di ciascuno può ritornare indietro (con gli interessi) nella forma della partecipazione a una società complessivamente più sana e più prospera, un’Italia che sa che quella che dobbiamo vincere è una gara simile al ciclismo a squadre, in cui il tempo si misura quando arriva al traguardo l’ultimo del team. Un’Italia che non si scorda delle persone più deboli o meno fortunate, che riduce le differenze ingiustificate, che utilizza tutti gli strumenti che ha per ridurre gli svantaggi. Un luogo dove a ciascuno sono garantite in partenza pari opportunità di successo. Un paese non più socialmente immobile. Un posto in cui tutti pagano le tasse e dove i soldi rivenienti dalla lotta all’evasione fiscale sono destinati a ridurre la pressione fiscale, perché si capisca davvero che pagare tutti significa pagare meno. Un’Italia che rispetta le persone che hanno abilità diverse, rimuovendo ogni barriera, quelle architettoniche e quelle nella testa della gente; che non fa differenza sulle caratteristiche individuali e sa che il talento di ogni cittadino è una risorsa preziosa per il paese. Un posto totalmente libero dal giogo della criminalità organizzata, quella che spara e quella dei colletti bianchi. Un luogo dove si combatte la corruzione in ogni sua forma e dimensione, quella enorme e quella minuta. Un’Italia dove vige un principio di responsabilità individuale, dove si sa chi è il titolare di ogni decisione a cui chiedere conto delle cose fatte e non fatte. Un paese dove si valutano le persone per i risultati concreti. Un posto dove i progetti si completano per tempo e secondo le condizioni concordate. Un posto che spende, ma non spreca. Dove un incompetente ben pagato fa scandalo non tanto per la sua paga, quanto soprattutto per la sua incompetenza. Un posto dove c’è una visione, una regia, un’idea chiara di Paese: dove investimenti e sforzi sono mirati e non cadono casualmente, a pioggia, per compiacere ogni campanile. Un paese che costruisce sulle cose che sa far bene. Ma che sa anche replicare le cose buone fatte in altri paesi e sa far circolare le buone idee al suo interno. Un luogo in cui la politica crea le infrastrutture e le condizioni economiche, fiscali e organizzative per facilitare il lavoro delle nostre imprese. Un luogo dove si ottiene velocemente giustizia, penale e civile. Un’economia che rilancia il turismo e si dà una politica industriale e una politica energetica. Un paese in cui l’ambiente, il territorio e il mare sono protetti con mano ferma, in cui si sviluppa un’industria dell’agro-alimentare di livello mondiale, e in cui si investe nelle energie rinnovabili facendo in modo che non solo riducano l’inquinamento ma portino anche prosperità alle comunità locali. Un’Italia che costruisce sulle sue differenze e che cresce tutto intero: nord e sud insieme, facendo leva sui punti di forza di tutte le aree geografiche. Un posto dove ci si sposta facilmente anche senza possedere un’automobile. Una democrazia che non ha paura di prendere decisioni, dove i livelli di responsabilità sono chiariti in modo definito. Dove una decisione giusta è ovviamente molto meglio di una decisione sbagliata, ma una decisione sbagliata è meglio di nessuna decisione. Dove il cittadino conosce il suo interlocutore nella pubblica amministrazione e i suoi rappresentanti (ma meglio il suo rappresentante, al singolare) nella politica. Un posto dove le leggi sono poche e chiare. Un paese dove non si ha paura di fare delle riforme e anche di scontentare una parte della popolazione, se necessario: le decisioni che fanno contenti tutti in genere non sono buone decisioni. Un paese in cui si sceglie sulla base del solo merito perché questo è il sistema più equo che esiste e più vantaggioso per la collettività: gli altri criteri (censo, origine regionale o familiare, amicizie, protezioni e appartenenze di vario tipo) non sono né equi né vantaggiosi. Un paese senza censure, che si assume le sue responsabilità, che non cerca capri espiatori. Un luogo dove la rete è libera e accessibile per tutti, in ogni angolo del Paese, e senza che nessuno di tanto in tanto decida di chiuderla o controllarla con una scusa o un’altra. Un’Italia che si aspetta un linguaggio di verità, anche quando è duro sentirlo. Un popolo che è, come è sempre stato, disponibile a fare sacrifici quando questi sono comprensibili, equi e proposti da una classe dirigente credibile. Un paese in cui le lauree non hanno valore legale, cosicché esse valgono per quello che sai e non per il pezzo di carta che hai messo in cornice. Un posto che non vuole essere governato da venditori o imbonitori, ma da una classe politica magari pure noiosa ma affidabile e rispettabile. Un paese, infine, che mantiene sempre la parola data. Senza condoni, senza scudi fiscali, dove rispettare la legge non è né un optional né una dimostrazione di ingenuità. Un’Italia che si preoccupa di investire per lasciare un’eredità, un’impronta, un segno positivo di questi nostri anni alle generazioni future.