1919: L’uomo nuovo


Il 23 marzo del 1919 Benito Mussolini fondava a Milano i Fasci di Combattimento. Le forze più vive della Nazione, col sangue ancora fresco della guerra appena combattuta, si riunivano per salvare l’Italia e l’Europa dai due più grandi mali del Novecento: il capitalismo e il comunismo. Un salto nel buio, preludio ad una avventura sfortunata ma anche bellissima, che vedrà l’Italia tornare, per altri vent’anni, il faro del mondo che aveva guidato la civiltà mondiale per i precedenti duemila. Il resto, poi, lo sappiamo: l’alleanza con Hitler, i tradimenti, i rovesci e le sconfitte militari, e poi il disonore della sconfitta celata passando di colpo armi e bagagli dalla parte del vincitore. E dopo le leggi speciali per mettere a tacere la storia, i ragazzi di diciannove anni ammazzati in strada a colpi di chiave inglese con tanto di consiglio comunale di sinistra che si alza in piedi per festeggiare con un lungo applauso, e una valanga di odio sintetizzata dalle sempre più isteriche prese di posizione di un antifascismo livoroso e crudele idee, carico solo di un odio abbietto e disumano.
Nessuna garanzia sociale, disoccupazione, malavita che faceva politica e politici che erano mafiosi, industriali prepotenti, Stato e banche usurai legalizzati trattavano operai e contadini a mo’ di bestie. La corruzione della politica di allora era la madre di questa attuale e gli industriali si ingrassavano come oggi.
Ma vi erano uomini che amavano la Patria e che con il coraggio del loro amore verso il popolo e le idee provarono a lottare contro le ingiustizie sociali.
“Il mio era un lavoro pesante. Ore e ore trascorse in una fabbrica, che però non riuscivano ad annullare la mia dignità di Uomo. Quella stessa dignità che qualcuno, parlando di proletariato, sembrava voler difendere e rivendicare. Ma io non mi fidavo, perché la lotta di classe sembrava una bandiera dietro cui nascondere invidia verso i padroni ed egoismo. E, per dirla tutta, non mi fidavo nemmeno della politica, di destra o di sinistra che fosse. Nessuno sembrava interessarsi davvero a ciò che veramente era importante: ovvero la Patria. E gli Uomini che avrebbero dovuto costruirla e difenderla. In quei primi mesi del 1919, a Milano e in tutta Italia, erano in molti, ad essere convinti che quella che la nostra Terra benedetta stava subendo era un’offesa alla nostra dignità di nazione. E la cosa peggiore era che nessuno dei partiti che componevano il Parlamento sembrava voler far nulla in proposito. Per questo, quando lessi sul Popolo d’Italia del 2 marzo un comunicato in cui si indiceva una riunione per creare un nuovo gruppo che si definiva anti partito, decisi di andarci. Volevo vedere da vicino se questi nascenti Fasci di Combattimento potevano costituire una speranza nuova per l’Italia. E capire se ed in che modo potevo fare la mia parte. La sera del 21 marzo, a pochi giorni dalla manifestazione annunciata per il 23, mi recai quindi in Piazza San Sepolcro, nei locali dell’Associazione Commercianti ed Esercenti. Quello che ascoltai mi piacque molto, anche e soprattutto perché a parlare furono persone convinte, che guardavano negli occhi i propri interlocutori. Diedi quindi anche io la mia adesione al “Fascio primigenio”, quello milanese. Seppi anche, in quella sede, che già in tanti, da tutta Italia, avevano aderito al progetto. Eravamo tutti consapevoli che stava per succedere qualcosa che avrebbe cambiato il corso della storia. E ne avemmo la prova quando prese la parola Benito Mussolini. Quell’uomo, destinato a diventare il nostro Capo per indole, capacità e carisma, rivendicò diritti per i lavoratori, sottolineò la necessità di contrastare chi, come i socialisti, sfruttava la richiesta di giustizia sociale degli operai per danneggiare la Nazione. Un discorso questo che conoscevo bene e che, da umile lavoratore, condividevo in pieno. Come quello sugli operai che, pur essendo entrati in sciopero e avendo occupato le fabbriche, avevano continuato a lavorare. Anche gli altri interventi furono applauditi ed acclamati da quella prima assemblea di Uomini nuovi, fautori di una terza via tra i due poli opposti, come disse ancora Mussolini. Eravamo movimentisti, nazionalisti, antiparlamentari, sindacalisti rivoluzionari, progressisti, sostenitori della socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione. Ma sopra ogni cosa eravamo tutti profondamente e consapevolmente innamorati della nostra Patria per la quale, da veri italiani, avremmo sacrificato anche la vita.”