Il vero rebus politico, è il giorno dopo


Il nostro sondaggio (NDR: quello, oramai immodificabile, riportato nell’immagine piccola a lato) l’aveva predetta la vittoria del Centrodestra, poi il piazzamento del M5S (peraltro il partito singolo piú votato raccogliendo i voti degli insoddisfatti, degli speranzosi e di chi ha ritenuto ancora “troppo a nord” un voto alla Lega) e ultimo, grandemente sconfitta, la coalizione del Centrosinistra e, soprattutto, del PD di Renzi.
Certo, le percentuali che il sondaggio WM ha evidenziato non sono precise, anzi sono sballate di un bel po’ a causa del campione statistico davvero piccolo ma, qualitativamente, WeeklyMagazine ci ha azzeccato a prevedere la prevalenza del centrodestra e, soprattutto, la grande debacle della sinistra. Dal Viminale i dati ufficiali conseguenti lo spoglio delle schede elettorali dicono che alla Camera il Centrodestra ha preso il 37,00% dei voti degli italiani, il M5S il 32,68% e il Centrosinistra il 22,85%, al Senato la coalizione di Centrodestra ha conseguito il 37,49% delle preferenze, il M5S il 32,22% e il Centrosinistra il 22,99%. Luigi Di Maio e il suo movimento, che ha riscosso il più largo consenso rispetto a qualunque altro singolo partito, sono i fenomeni mediatici della settimana ma ricordando che alle scorse elezioni si poteva indifferentemente correre da soli che per coalizioni, ma che ovviamente non c’erano categorie differenziate di partecipazione come alle Olimpiadi, é indubbio che chi ha corso da solo lo ha fatto a suo rischio e che i numeri dicono che la competizione elettorale sia quindi stata vinta dal Centrodestra. Tuttavia, alla luce dei dati elettorali, si è subito compreso che nessuna formazione politica avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta, ossia almeno il 50% delle preferenze degli elettori e ciò, a dati confermati, ha dato il polso della situazione di empasse che si é venuta a creare. Nella buona sostanza nessuna forza politica può governare da sola ma siccome tutte hanno dichiarato che, per un motivo o per l’altro, non si potranno mai apparentare con le altre (decine o troppo estremista o comunque ideologicamente distanti), appare davvero arduo il compito del Presidente Mattarella che dovrà darle l’incipit per il nuovo governo affidando a un esponente di una delle forze contendenti l’onere di tentare di formare il nuovo esecutivo. Già i primi nodi verranno al pettine con le indicazioni sui nomi dei Presidenti di Camera e Senato. Sono le conseguenze del “Rosatellum” che, prevedendole, ci avevano spinto a criticarlo nell’articolo apparso su queste pagine il 15 ottobre scorso (NDR: Rosatellum bis: non cambia il sistema degli inciuci): in definitiva, avevamo già intravisto che per formare un governo si sarebbe dovuto accondiscendere alla logica dell’ammucchiata. Così mentre un tronfio M5S della prima ora post elettorale ha sentenziato che in virtù di essere il primo partito sarebbe spettato agli altri passare dalla loro corte recando doni e con mite (anzi nessuna) pretesa, ora invece fa l’occhiolino a destra e, forse ancora di più, a sinistra per evitare di sprecare l’occasione di governare e ritornare alle elezioni. In particolare apre ai resti di quello che una volta fu la sinistra e, segnatamente, a chi nel PD non condivide la visione irriducibile di Renzi. Proprio nel PD, infatti, il dimissionario segretario (dimissioni rese ma solo per finta, volendo rimanere alla guida del carrozzone sino a governo formato o….fino a nuove elezioni, forse sperando in una prova d’appello per sè e per i suoi) ha imposto il suo veto a non imparentarsi col M5S. Ma il corteggiamento dei pentastellati ha cominciato a dare i suoi frutti verso gli amanti delle poltrone che metaforicamente, per senso di responsabilità e per il bene della nazione, appaiono come ben lieti di sacrificarsi. Ciò nonostante, tuttavia, alcuni restano scettici che un movimento populista come quello di Grillo, cresciuto cavalcando temi di malcontento popolare alla spicciolata ed essendosi affermato anche per promesse elettorali che rasentano una genialità incompresa o una spudorata malafede, saprà governare come un partito vero, ossia un organismo politico con una visione organica del Paese di ampio respiro. Di certo, le code verificatesi ai CAF della Puglia per chiedere gli (ovviamente inesistenti) modelli per il tanto sbandierato reddito di cittadinanza, uno dei cavalli di battaglia della propaganda elettorale dei gialli pentastellati, può essere cronaca delle ultime ore da leggere con divertita ironia, constatando l’ingenuità di alcuni elettori M5S, o un cupo presagio di un brusco traumatico risveglio collettivo. Ma se Atene piange Sparta non ride e, difatti, bisogna rilevare che anche la coalizione di centrodestra non ha i numeri per assicurare da sola una stabile azione di governo. Il sospetto é che, piuttosto che bruciare in governi sbilenchi e di breve durata la buona affermazione elettorale conquistata (in alcuni casi ottima, come per FdI che ha raddoppiato le preferenze rispetto alle elezioni politiche del 2013 o come per la Lega che ha superato FI nelle preferenze degli elettori), piuttosto che tessere improbabili alleanze con alter ego troppo distanti dalle proprie idee, il centrodestra preferisca rimanere a lanciare strali dai comodi scanni dell’opposizione raccogliendo i frutti di un eventuale default del probabile nuovo governo pastrocchio M5S-PD (quest’ultimo in toto o in parte). Una strategia speculativa quella di restare all’opposizione, forse intravista anche da Renzi e da Orfini ma che, evidentemente, non convince chi nella sinistra proprio non vuole rinunciare alla possibilità di una poltrona nel nuovo governo.

Riferimenti: https://www.weeklymagazine.it/2017/10/15/rosatellum-bis-non-cambia-il-sistema-degli-inciuci/