Guitti ed Eroi


Durante la scorsa settimana a Dimartedì, in una delle tante trasmissioni di approfondimento politico condotta da un “apparatchik” del regime, il noto comico Gene Gnocchi se n’è uscito con una battuta davvero infelice. Parlando del maiale che scorrazza libero per Roma (il quale si è saputo poi appartenere alla famiglia Casamonica!) ha detto che si tratta del maiale di Giorgia Meloni, e che essendo femmina si chiama Claretta Petacci (NDR: nella foto a corredo di questo articolo).
Forse la parole esatte non erano queste, ma il senso della frase sì, anche se oil giorno successivo l’attore ha cercato di minimizzare dichiarando che il senso della sua frase non era stato compreso.
Invece è stato compreso molto bene, al punto che le critiche hanno cominciato a piovere da tutte le parti, e non solo dai nostalgici del fascismo.
Devo confessare che a me Gene Gnocchi ha fatto ridere molte volte. Soprattutto quando mette in campo quella sua comicità dell’assurdo che è tutto un susseguirsi di battute paradossali con tempi comici ben studiati.
Non mi piace invece la sua comicità rivolta al calcio e tantomeno alla politica. Lo trovo scontato, banale ed offensivo in modo gratuito.
Può un comico parlare in modo umoristico di politica? Certo che sì. Da Totò, col suo “Vota Antonio La Trippa” fino ai recenti sketch di un Enrico Brignano felicemente ispirato nel suo castigare i costumi dei politici italiani.
Ma Gene Gnocchi non è all’altezza. In primo luogo perché è un comico di secondo piano, nato allo Zelig di Milano e prestato alla televisione grazie a trasmissioni che hanno avuto un buon seguito come Zelig e Quelli che il calcio. Ma qui ha superato se stesso. Non solo la battuta era infelice: era offensiva nei confronti di una donna morta senza colpe e senza aver commesso reati, solo perché era l’amante del Duce.
In tutti questi anni ci è capitato spesso di ascoltare battute e battutacce su Mussolini e sulle sue colpe: alcune reali, altre inventate. Ma nessuno si era mai permesso di insultare la Petacci dandole della maiala e pensando per questo di far ridere.
Lo stesso Pertini, uno dei firmatari della condanna a morte del Duce, già negli anni ’60 ammise: “La sua unica colpa fu quella di aver amato un uomo”.
Questa frase dovrebbe essere scritta con caratteri d’oro, i quali poi – fusi in un crogiolo – dovrebbero esser fatti trangugiare al guitto che si è permesso un simile insulto vergognoso, sì che dopo di allora le sue corde vocali non gli permettano più simili sconcezze, potendole usare, tutt’al più, per impiccarsi.
Dovremmo riflettere bene, in questo periodo elettorale, su quanto ci viene inculcato dai media. Perché non sono solo i vari Gnocchi a lasciare queste tracce di letame per l’etere, sono anche coloro i quali dovrebbero contribuire a moderare i toni e invece sorridono imbelli di fronte a una satira becera e sguaiata. Giovanni Floris è tra loro. Alla battuta infelice ha sorriso come un ebete anziché fermare l’attore e magari imponendogli di chiedere scusa.
Ma si sa, e lo abbiamo già scritto: la sinistra in questo Paese temi i morti più dei vivi. Quindi giù legnate su Mussolini, sui morti missini e, perché no?, anche sui morti per la Patria. Gli eroi non piacciono a chi voleva consegnare la Patria ai russi e ora la vorrebbe schiava di un’Europa che somiglia tanto ad un Quarto Reich appoggiato dalla Seconda Repubblica di Vichy!
Lasciamo stare i morti, per favore. Sono passate solo poche settimane da quando dovemmo intervenire su un altro scandalo, quello della povera Giuseppina Ghersi, la tredicenne fucilata a guerra finita perché sospettata di fiancheggiare i fascisti. Anche in quel caso gentaglia senza onore ha violentato e ucciso. Come a Giulino di Mezzegra (anche qui a guerra finita, era il 28 aprile 1945!), dove un gruppo di animali rimasti senza nome hanno violentato e ucciso Claretta fingendo poi la fucilazione.
A Piazzale Loreto il sacerdote presente in piazza pose fine al vergognoso spettacolo della poveretta appesa per i piedi senza mutande (nessuno si è mai chiesto che fine avessero fatto?).
La spilla da balia gliela diede un partigiano, colto anch’egli da vergogna. Un po’ tardiva, forse, ma comunque un gesto di pietà. Quella pietà che invece guitti come Gnocchi non mostrano, perché malamente schierati e appiattiti su una sinistra cieca e ignobile.
Non vogliamo mostrarvi le foto (in nostro possesso) delle violenze di cui si accenna in questo articolo. La povera Pinuccia Ghersi ve l’abbiamo mostrata ancora viva, nella speranza che qualche testimone ci consenta di rintracciare le bestie sopravvissute per poterle denunciare alla giustizia ordinaria. La foto della povera bambina morta, nella polvere con le mani legate dietro la schiena e senza mutandine la conserviamo per il giudice che dovrà condannare i maiali (questi sì!) che hanno perpetrato una tale scempio.
Se verrà quel giorno, scriveremo un bell’articolo in cronaca, lo metteremo in una sontuosa cornice e lo spediremo a Gene Gnocchi affinché si ricordi che i morti sono comunque più alti di noi. Il rispetto a loro dovuto travalica i sentimenti politici e qualsiasi campanilismo di territorio, di razza o di civiltà.
Lasciamo stare i morti. Ricordiamoci tutti “‘A Livella” del grande Totò:
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!