Promesse, aumenti e altre follie


E così, tra un sacchetto riciclabile e un aumento della bolletta elettrica, siamo finalmente giunti al temine della XVII Legislatura. Per gli amanti delle statistiche possiamo dire che dal 2013 al 2017 sono stati presentati tra Camera e Senato 412 Disegni di Legge e sono state approvate 367 leggi. Inoltre si sono succeduti 4 governi che hanno posto complessivamente 93 questioni di fiducia sui DDL di iniziativa governativa. In pratica una legge su tre è stata approvata grazie al voto di fiducia, il che la dice lunga sullo stato di salute degli esecutivi.
Al di là dei numeri, questi anni sono trascorsi in un clima di crescente antipatia nei confronti delle istituzioni e della politica in generale, passando dall’apatia alla rassegnazione, quindi al disgusto, quindi all’odio per tutto ciò che promana da quel mondo che il suddito italiano vede ormai come totalmente avulso dalla realtà e dai suoi problemi quotidiani.
La totale indifferenza dei politici al potere nei confronti del sentimento popolare sui temi più sentiti (immigrazione, lavoro, sicurezza, degrado giovanile, povertà dei ceti popolari) è andata via via cementandosi intorno agli spocchiosi atteggiamenti di uno dei presidenti della Camera più odiati di sempre, la ‘presidenta’ Boldrini, la quale oltre a imparare ad usare l’italiano per quel che è, una lingua e non una bandiera del femminismo trotzkista, dovrebbe fare dei corsi accelerati di buona educazione per evitare – ora che non conta più una beneamata cippa ed è tornata ad esercitare l’antichissimo mestiere di comune mortale – di essere presa a scarpate nei glutei ogni volta che si presenterà col suo fare altezzoso e supponente.
In questo clima da tragicommedia di Aristofane ha preso il via la campagna elettorale. Come c’era da aspettarsi ogni attore di questa consumata passerella sta facendo del suo meglio (o peggio) per farsi notare dagli elettori, cercando di meritarsi un posto al sole nel prossimo teatrino.
E come era logico prevedere le promesse elettorali, antico cavallo di battaglia del politico nostrano, sono tornate vieppiù in auge. Ma questa volta sembra che la colonna sonora del carrozzone, il leitmotiv del Festival delle Poltrone, abbia un ritmo più incalzante e soprattutto un tema assai più al di sopra delle righe del solito. Da destra a sinistra passando per quel middle-of-nowhere che, dal nome, più che un partito sembra un hotel, sembrerebbe che tutti stiano impegnandosi per vincere la palma di chi la spara più grossa.
Ha iniziato Berlusconi promettendo una dentiera ad ogni vecchietto ed ha continuato il Pinocchietto nazionale con la promessa di abolire il canone Rai, proprio lui che lo aveva fatto mettere nella bolletta della luce. Ma d’altra parte avevamo già capito che la coerenza non è il suo forte quando lo abbiamo visto candidarsi a quel Senato che voleva abolire!
Salvini, non volendo essere da meno, ha prima accennato ad una generica uscita dall’Europa, ma ha poi ripiegato sul sempreverde via gli immigrati e alla new entry ‘vaccini sì, obbligo no’, forse per paura di rifarsi al tema ‘via dall’Euro’ caro a Di Maio (il quale invece ultimamente lo ha sconfessato, vecchia volpe!).
E poteva il buon vecchio Grasso restare fuori da siffatto coro? Giammai! La seconda carica dello Stato si è inventato l’eliminazione delle tasse universitarie, argomento che a tutta prima richiama i più nobili sentimenti marxisti, facendo invece un autogol clamoroso giacché all’Università le tasse sono progressive con il reddito e le fasce più basse ne sono già esenti. In pratica l’ex-megaprocuratore antimafia convertito al leninismo stava per fare un favore ai ricchi!
Nelle ultime ore la palla è tornata a Berlusconi che ha promesso un cambiamento radicale nel regime fiscale e l’applicazione di una flat-tax uguale per tutti al 23% che in futuro dovrà scendere al 20% o anche meno! In pratica quello che accade in Svizzera ma che vediamo in po’ difficile applicare qui da noi, sebbene sarebbe un enorme beneficio per il debito pubblico e per la fiscalità generale.
Sicuramente le promesse non sono finite qui e nei prossimi giorni ne sentiremo ancora delle belle. L’unica speranza è che i sudditi di questo regime siano sufficientemente accorti da non perdere la fiducia nel futuro e si rechino a votare il prossimo 4 marzo, perché l’assenteismo oggi rappresenta una minaccia per la stabilità, non solo della politica ma della stessa Repubblica come la conosciamo da settant’anni a questa parte.
Solo con un voto compatto dato a forze degne di fiducia, a uno schieramento coeso e coerente, con un programma serio e condiviso, si potrà rovesciare un regime di fatto che sempre più allunga i suoi artigli rapaci sul risparmio della povera gente e instaurare regole più eque e virtuose.
Infatti oggi di virtù se ne vede ben poca a tutti i livelli, ma soprattutto a quei livelli da cui dovrebbe giungere l’esempio per tutti.
Sono molti gli esempi che si potrebbero elencare. Vediamone alcuni tra i più eclatanti.
Al primo posto nella classifica degli orrori dell’etica pubblica è d’obbligo porre i recenti aumenti delle tariffe di luce, acqua e gas, che ancora una volta vengono aggiornati in base a criteri presunti di inflazione. Infatti se ci si dovesse basare sull’inflazione reale le tariffe dovrebbero scendere, altro che salire! Invece gli aumenti sono stati di diversi, troppi punti percentuale mentre il cosiddetto “paniere” è fermo da anni con aggiornamenti tardivi. Basti pensare che nel 2017 vi sono entrati le asciugatrici, gli smartwatch e gli alimenti vegani (articoli di dubbia utilità su un calcolo generalistico come questo) e anche le cartucce ink-jet, sul mercato da ‘solo’ trent’anni!
Ma l’inizio d’anno ci ha anche abituati all’aumento delle tariffe autostradali, il cui meccanismo è legato a patti secretati (avete letto bene!) tra il concedente ANAS e i vari concessionari. Il motivo di tale segreto è che gli accordi tra società per azioni (anche pubbliche come ANAS) possono essere protetti in tale modo. Follia pura.
Ebbene, invece del solito aumento di uno, massimo due punti percentuali, quest’anno c’è stato l’assalto alla diligenza, dato che i concessionari sono probabilmente consci che con un governo di diverso orientamento politico rispetto all’attuale sarà dura per i prossimi anni spuntare qualche lira.
Il fatto è che in alcuni casi questi ritocchi si possano configurare come vere e proprie rapine legalizzate con sperequazioni che non si sognerebbe nemmeno un cerebroleso.
Un esempio per tutti: l’autostrada Torino – Aosta era già da tempo la più cara d’Italia. Oggi probabilmente può estendere il primato all’intero globo terracqueo. Vediamo alcune tratte.
Da Santhià a Morgex si è passati a 24,90 € per percorrere una settantina di chilometri, con un incremento di poco meno del 10% rispetto al 2017. Ma se io partissi da Santhià e dovessi uscire a Nus (il casello prima di Aosta Ovest) e poi rientrare per uscire a Morgex spenderei 12,10 € + 13,00 € per un totale di 25,10 Euro, smentendo il buon Totò per cui “E’ la somma che da il totale”.
Se invece uscissi a Nus e rientrassi ad Aosta Ovest (circa 20 km più avanti) per uscire sempre a Morgex, spenderei 8,40 Euro. Quindi si scopre che per i 20 chilometri che separano Nus da Aosta Ovest dovrei spendere la differenza, ossia 4,60 €. E invece no! Se provate anche voi a impostare il pedaggio sul sito delle Autostrade scoprirete che questi 20 km costano all’utente ben 21,40 Euro! Ciò significa che percorrere lo stesso tratto all’andata e al ritorno costa più della vignetta che permette la circolazione sulle autostrade Svizzere per tutto l’anno!
Se poi vi serve un altro motivi per aumentare il vostro disappunto, eccovi serviti: Parliamo di Roma e dei sui rifiuti, che diventano sempre più invadenti. Nonostante i pietosi tentativi di smaltire il surplus fuori regione, con costi indicibili, non ci sembra che siano in vista soluzioni sensate e durature. Né che il governo cittadino e quello regionale abbiano la benché minima idea di come risolvere un problema che – chissà perché – nessun’altra grande città in Europa sembra avere.
La corruzione, il peculato, la malversazione e l’interesse personale in questa città (che dovrebbe essere la più bella e ammirata al mondo) hanno la meglio su quello generale, quindi avanti con gli scaricabarile e l’addossare le responsabilità ad altri. E le piccole storture si sommano alle grandi in un unico tourbillon di malaffare e corruttela.
Come è accaduto per il povero Spelacchio, l’albero di Natale più brutto e allo stesso tempo più famoso al mondo. Pare, tra l’altro, che la cosa non sia ancora finita, perché alla disorganizzazione dei servizi tecnici comunali, i quali prima ne decretano la spoliazione dalle decorazioni natalizie e poi cambiano idea e gliele fanno riappendere per poi toglierle definitivamente il giorno successivo (eccheccacchio, qualcuno lo dobbiamo pur fare lavorare, no?), si aggiunge una nuova follia: Spelacchio verrà abbattuto, com’è nella natura di ogni albero, ma non finirà nelle stufe dei romani poveri. No, verrà riportato in Val di Fassa dove cento anni fa un piccolo pinolo lo generò in una grande foresta, e qui sarà ridotto in assi dalle quali si ricaverà una casetta dove le mamme potranno accudire i loro bambini e tornerà a Roma dove non sappiamo dove sarà piazzata. Di certo non ne potranno usufruire le mamme di molti amministratori pubblici, impegnate come sono a battere i viali capitolini accanto a qualche falò.
Quindi ai quasi 40.000 euro che è costato il primo trasporto se ne aggiungeranno chissà quanti. E intanto i romani pagano…
Non siete abbastanza indignati? Non siete ancora corsi a casa a disseppellire la Spandau che il nonno aveva sottratto a quel soldato tedesco cui tagliò la gola durante la ritirata in Italia?
Ebbene, allora vi meritate anche la prossima follia: ciò che in qualsiasi Paese più civile di questo avrebbe già aperto le porte di Rebibbia al capo della banda della finocchiona e a quell’altro tristo personaggio che risponde al nome di ingegner Carlo De Benedetti.
Sebbene sia stato il mio capo all’Olivetti nel secolo scorso, non ho mai avuto stima di un tale fulgido esempio di meschinità e di pochezza umana. Uno che con poche firme su quattro fogli di carta ha permesso che in una notte andasse persa l’intera conoscenza sulla fabbricazione delle macchine da scrivere meccaniche. Già perché oggi nessuno sa più come si fa, avendo smantellato l’intera fabbrica all’inizio degli anni novanta. Uno che ha la vista talmente lunga che quando due giovanotti in un garage della Silicon Valley, abbisognando di un finanziamento, gli proposero di rilevare l’intero business che aveva il marchio di una mela smozzicata, declinò con gentile fermezza la proposta, convinto che quella ‘cosa’ non avesse un futuro.
Già, perché quest’uomo il futuro ha sempre cercato di sottrarlo agli altri, ponendo sé stesso e i suoi affari al di sopra di qualsiasi legge, morale e civile. Compreso l’insider trading, ossia quella pratica che avvantaggia in un affare chi è a conoscenza di segreti economici o finanziari prima che avvengano movimenti che possano determinare guadagni o perdite sul mercato.
Ebbene, come rivelato da un’inchiesta del quotidiano torinese La Stampa, pochi giorni prima che il governo di Pinocchietto modificasse la legge che regolamenta le banche popolari, l’ingegnere chiamò il suo broker indicandogli come investire la bella cifra di 2,5 milioni di Euro dicendogli che aveva parlato con Renzi e che sicuramente la cosa sarebbe andata in porto. La conversazione venne intercettata. Forse perché uno dei due interlocutori era sospettato di qualche intrallazzo? Non si sa. Fatto sta che, come dicevamo, in uno Stato serio entrambi i personaggi sarebbero stati prelevati da distinti agenti in divisa che li avrebbero portati – su auto grigie con banda gialla – in una caserma e successivamente in una comoda cella con luce elettrica e materasso. Di lì a poco il broker sarebbe andato a far loro compagnia e chissà quanti altri si sarebbero aggiunti all’allegra brigata.
Qui no. Qui un’inchiesta della magistratura verso la fine del 2015 venne bellamente archiviata senza che alcuno ne venisse a conoscenza (se invece il premier fosse stato Berlusconi, sapete quanto si sarebbe battuto sul tamburo?) e solo il coraggio di alcuni giornalisti ha fatto emergere in questi primi giorni dell’anno.
Come andrà a finire? Non è possibile prevederlo: riteniamo che molto dipenda dall’esito elettorale.
Facciamoci coraggio: tra poco più di un mese e mezzo andremo finalmente a votare.
Siamo a metà del guano.