Quale libertà?


Da alcune, forse troppe settimane, appare di sfuggita in qualche telegiornale la notizia che l’ex-senatore Marcello Dell’Utri (NDR: nella foto di repertorio a corredo di questo articolo) verserebbe in gravi condizioni di salute presso l’infermeria del carcere di Rebibbia.
Un’intervista con la moglie ci ha fatto conoscere lo stato di gravità della sua situazione: diabetico, ad uno stato avanzato della malattia, con complicazioni cardiache cui di recente si è aggiunta la scoperta di un cancro alla prostata, Dell’Utri è stato riconosciuto incompatibile con il regime carcerario da ben tre perizie mediche, compresa quella chiesta dalla Procura della Repubblica. Ciò nonostante il Tribunale di Sorveglianza ne ha negato la scarcerazione dichiarando che l’ex-braccio destro di Berlusconi è perfettamente in grado di scontare ciò che resta della sua pena, ossia meno della metà dei sette anni che gli erano stati comminati, senza considerare possibili sconti di pena da calcolarsi però quando ne avrà scontati almeno due terzi.
Non voglio entrare in una sterile polemica a riguardo della colpevolezza o, viceversa, dell’innocenza dell’uomo:la condanna è passata in giudicato, pertanto Dell’Utri è colpevole agli occhi dello Stato, e siccome lo Stato siamo tutti noi, dobbiamo ritenerlo tale.
Ciò che invece è importante mettere in luce è la protervia con la quale uno Stato iracondo, vendicativo e maligno riesce a maramaldeggiare oltre ogni limite su uomini vinti, i cui sogni sono stati completamente e definitivamente spazzati via mentre le loro vite ormai al tramonto non hanno più alcuna ragione di esistere, se non per l’amore dei loro cari.
Ed è questo amore che ancora consente alla famiglia Dell’Utri di nutrire speranze, mentre il loro congiunto rifiuta da settimane le cure e il cibo, in un ambiente che il suo fisico più non tollera e lo sta uccidendo un po’ ogni giorno.
Ebbimo a scrivere mesi fa parole simili, ma dettate dal rimpianto per una voce ormai spenta: quella di Doddore Meloni, lasciatosi morire di fame e di sete più o meno per le stesse motivazioni che ora spingono Dell’Utri a sacrificare il bene supremo in nome di un principio: quello secondo il quale una pena dev’essere rieducativi sì, ma non dettata dalla vendetta né tantomeno dalla volontà – dichiarata o meno – di togliere di mezzo un nemico pericoloso.
Salvatore Meloni morì la scorsa primavera a Cagliari dopo che erano rimaste inascoltate dai giudici istanze del suo legale e suppliche giunte da tutt’Italia. In fondo non chiedeva sconti di pena, ma solo un po’ di umanità per un vecchio che non aveva mai commesso reati di sangue e, mosso solamente dalla sua seppur balzana idea di libertà e indipendenza, aveva sempre pagato il prezzo delle proprie idee.
Ma l’idea di non poter ottenere i domiciliari nemmeno a settantaquattro anni suonati proprio non gli andava giù.
Così ha cercato la morte sfidando quell’indifferenza che adesso noi tutti dovremmo tramutare in vergogna. Non pagava le tasse per le sue aziende di autotrasporti. Non riconosceva l’Italia e le sue istituzioni. Irremovibile, assoluto e fermo, era forgiato nel carattere proprio degli irriducibili. Se ne stava sull’isolotto di Mal di Ventre, dove aveva proclamato una Repubblica che preparasse l’indipendenza di tutta la  Sardegna e lì cresceva il suo sogno. Eppure anche il 28 aprile scorso, mentre Doddore andava a costituirsi, gli inscenavano un inseguimento per bloccarlo e catturarlo.
Perché questo da noi sa fare lo Stato, lo stesso Stato di Portella, lo stesso Stato delle deportazioni dei militari borbonici ai forti della val di Susa, quel medesimo Stato che ti pignora anche la nonna se non paghi fino all’ultima lira nei tempi imposti e poi ci mette secoli per restituirti ciò che hai versato in più e fa fallire i fornitori degli ospedali nonostante le belle parole e le fatture elettroniche.
Ecco. Doddore ci mise sessantasei giorni a morire. Probabilmente qualche magistrato si starà chiedendo quanto ci metterà Marcello Dell’Utri a togliere l’incomodo, certo che dopo pochi mesi tutto sarà dimenticato.
Ma che Stato è questo, che parla tanto e conclude poco o nulla? Che non si cura dei suoi figli al punto di suggerire (è vero, è proprio vero!) di non curare le persone troppo anziane?
Anche gli abitanti di Amatrice dovranno subire la stessa sorte? Perché siamo al secondo inverno e solo un terzo scarso delle casette promesse è stato consegnato, e adesso si scopre che non sono adatte al clima della zona perché il gelo fa scoppiare i tubi dell’acqua! Ma chi c’è a capo di questa congrega di incapaci? Chi dobbiamo andare a prendere e inchiodare alle sue responsabilità, prima ancora che al portone di un bordello dove muoia beccato dai corvi? Quale libertà vogliamo? Quella di vedere una partita di calcio al giorno, della pay tv e dei prestiti facili, o quella che veda finalmente inviolati i nostri diritti?
E quanti Dell’Utri e quanti Doddore e quanti terremotati dovranno ancora passare per quest’inferno prima che l’Italia sollevi la testa e torni ad essere un faro di civiltà?