La leggenda di Atlantide


La leggenda vuole che sia esistita e scomparsa, una grande civiltà. Si favoleggiava, già nell’antichità classica, di un’isola immensa, Atlantide, addirittura più grande dell’Asia, abitata da un popolo forte e guerriero, che aveva invaso l’Europa senza successo. La sua fine non è nella storia. Ma una cosa è certa: se Atlantide fu realmente, come molti studiosi credono, una grande civiltà, essa venne cancellata dal mare.
La si voleva nell’Atlantico Settentrionale. Le forme di vita animale e vegetale, attualmente esistenti e quelle estinte, di cui però rimane traccia, indicano una facile migrazione tra quella zona di oceano e la Groenlandia, le Azzorre e addirittura le Canarie. La leggenda fu ripresa anche da Platone. E’ sorprendente notare che nella costa atlantica dell’America del Nord non si diffusero mai grandi agglomerati umani fino al IX secolo d.C., quando vi arrivarono i Vichinghi. Uno studio geologico e archeologico delle coste oceaniche non è mai stato fatto. L’uomo è stato sempre distratto dalla corsa all’autodistruzione. Eppure, si trova proprio lungo le coste degli oceani la chiave necessaria per capire se è vero che oggetti cosmici (comete, astoroidi, meteoriti) dal raggio tra i cento e i mille metri, abbiano colpito civiltà improvvisamente scomparse, come quella di Atlantide. Se fossero esistite lì, la loro vulnerabilità, di fronte all’impatto di un “proiettile cosmico”, in un punto qualsiasi dell’oceano, non avrebbe permesso che di esse restasse memoria. D’altronde, la probabilità che oggetti cosmici, appunto, di queste dimensioni piombino sulla Terra con una frequenza, stimata approssimativamente, di diecimila anni. Proprio il tempo per dare vita ad una “civiltà” e poi sparire.
La superficie liquida della Terra è doppia di quella solida. La solida ha però un vantaggio rispetto all’altra. Una massa proveniente dal cosmo che finisse sulla terra non potrebbe trasmettere i suoi effetti devastanti fino a zone estremamente lontane. Nel mare non è così. Se un meteorite cadesse in pieno oceano, un’onda gigantesca si abbatterebbe sui due estremi opposti delle coste. E ciò, da un capo all’altro, anche se l’impatto fosse a migliaia di chilometri di distanza dai litorali. Vediamolo con un esempio concreto, ottenuto con simulazioni, su supercomputer, effettuate presso i laboratori della NASA. Immaginiamo un asteroide, dal diametro di quattrocento metri e che viaggi ad una velocità di settantamila chilometri orari (media bassa per un asteroide). Facciamolo cadere in pieno oceano atlantico, ad esempio. L’onda prodotta sarà di almeno cinque metri quando, dopo aver viaggiato su tutta la superficie marina, si affaccia alle coste europee ed americane. Avvicinandosi alla riva, la profondità del mare ovviamente diminuisce, ma l’onda aumenta, in altezza, fino a toccare i duecento metri. Inserendo nel supercomputer variazioni di profondità costiere, ricavate da strutture realmente esistenti, si trova che l’altezza di un’onda oceanica può raggiungere e superare i duecento metri di altezza. Un dato essenziale, in questi calcoli, è la durata dell’onda. Essa rimane efficacie, prendendo ancor più corpo, per almeno due minuti e, di conseguenza, penetrando nella terraferma, travolge tutto prima di fermarsi. Si presume che l’Olanda e la Danimarca ad Est e New York sulla costa occidentale dell’Atlantico, verrebbero spazzate via.
Il dettaglio da non sottovalutare è che l’oggetto cosmico ha tutto l’oceano a sua disposizione per cancellare le zone costiere sui due lati estremi e opposti (Est-Europa, Ovest-America, rimanendo sempre in questa parte del globo). Tutto ciò che in passato ha colpito l’”Oceano Globale” (si chiama così l’insieme di tutta la superficie liquida della Terra), è rimasto senza traccia. In mare non si producono crateri ma buchi, i quali vengono riempiti in pochissimo tempo, producendo onde gigantesche. La durata dell’onda che si abbatte sulle coste è determinata dal tempo necessario perché il “buco”, prodotto nell’acqua, possa essere riempito. Più potente è l’impatto, più grande il “buco”, più lunga la durata dell’onda. Lo “tsunami” del 2004 non deve confonderci le idee. La causa, in quella circostanza, fu un terremoto.
Negli ultimi vent’anni, in Arizona, sono stati scoperti dieci nuovi crateri prodotti da asteroidi o meteoriti. Sulla terraferma, queste sono le tracce; sul mare solo le onde. Gli asteroidi, le comete, i meteoriti esistono da sempre. Prendiamone atto e guardiamo il cielo senza paura. Anzi, sappiamo oggi che è possibile difendersi. Il primo passo per vincere la paura, qualunque sia la sua motivazione, è il sapere. Non è più il caso, però, di continuare a guardare il cielo come facevano i nostri antenati! L’infinito può nascondere delle insidie.
E la nostra Atlantide? Quando la storia prevarrà sulla più romantica leggenda, ecco che la sua accertata scomparsa sarà spiegata da reali motivazioni scientifiche. Perché non credere che tutto ciò, un domani, potrà essere di attualità?