Buon Dies Natalis


Sarebbe interessante, addirittura istruttivo intrattenersi qualche minuto a scambiare quattro chiacchiere, si spera chiarificatrici, con chi (Dirigente Scolastico in primis , ma anche collaboratori e corpo docente tutto) all’interno dell’Istituto Comprensivo “ Italo Calvino” di Milano, ha ritenuto cosa buona e giusta eliminare la parola “ Natale” dalla locandina che invita alunni e genitori a partecipare a un incontro/evento pre natalizio in programma il 17 dicembre e optare invece per la simpatica circonlocuzione sostitutiva “ grande festa delle buone feste”. Interessante , perché è innegabile che una simile decisione generi, a fragorosa cascata, una serie di disquisizioni dal carattere socio-antropo- psico-logico al termine delle quali ci si potrebbe sentire come minimo confusi per tutti i campi dello scibile e del pensabile affrontati o sfiorati; istruttivo perché, ammettiamolo, non si finisce mai di imparare, nemmeno quando l’argomento appare ( è il caso di adoperare tale verbo) così banalmente scontato.
Naturalmente chiamata in causa in seguito alle prime proteste genitoriali , innescate anche dalla reazione del presidente del Municipio 2 del capoluogo lombardo, il leghista Samuele Piscina e dall’assessore alle politiche educative, Laura Luppi, la Dirigente Scolastica dell’istituto Calvino, Dorotea Russo, ha tenuto a sottolineare che:
– l’incontro in questione non è stato organizzato per festeggiare il Natale in modo particolare ma, in aggiunta alle iniziative dedicate esclusivamente alla festività, principalmente per rinsaldare i legami tra alunni all’interno dell’istituzione scolastica dopo taluni episodi di bullismo;
– nella scuola da lei diretta, il Natale si festeggia, eccome, con tutti, ma proprio tutti i crismi del caso, che la religione cattolica è tenuta in grande considerazione ( sic) ma che, per evitare che l’evento venisse disertato dagli appartenenti ad altra professione religiosa e dai non credenti, si è pensato di bandire il vocabolo “ Natale” dal contesto .
Senza volersi perdere in sterili, abusate e anche alquanto populistiche disquisizioni sulla singolarità di tale presa di posizione e lontani anche dagli eventuali risvolti politici, ci si permette, in questa sede, di richiamare l’attenzione su talune interessanti particolarità legate all’argomento, a partire da quanto riportato nella Nuova Enciclopedia cattolica dell’Ordine Francescano, del 1941, ovvero che la data di nascita di Cristo non è il 25 dicembre,che, anzi, essa non è nota e che fu col tempo individuata nel giorno in cui ( aggiungiamo, secondo il calendario Giuliano) cadeva il solstizio di inverno e si celebrava la festa del Sol Invictus, il dio Sole invitto e invincibile. L’istituzione del Dies Natalis Solis Invicti, fu fortemente voluta dall’imperatore Aureliano, restitutor orbis, che, nel 274 d.C., dando seguito al non altrettanto fruttuoso tentativo di Eliogabalo, aveva consacrato un tempio al culto di Mitra. A partire dal solstizio invernale le giornate iniziavano nuovamente ad allungarsi, la luce sopraffaceva le tenebre e veniva celebrato il trionfo del dio vincitore del buio e portatore di luce all’umanità, nato da una vergine, ucciso da una lancia e tornato alla vita dopo tre giorni. Non a caso, il 25 dicembre, compreso nel periodo in cui si svolgevano a Roma le feste dei Saturnalia, è indicato come giorno di nascita o di celebrazione anche di altre divinità, venerate nel bacino del Mediterraneo e persino oltreoceano sin dalla remota antichità e legate al culto del sole :
– il babilonese dio sole Shamash, con la dea Ishtar, raffigurata con il capo avvolto da una aureola di 12 stelle e suo figlio Tammuz, che risorgeva tre giorni dopo la sua morte;
– l’egiziano dio Horus, illuminato da una corona di luce solare e raffigurato tra le braccia della madre Iside;
– il greco Dioniso, che rinasceva bambino dopo essere stato ucciso, celebrato nei giorni del solstizio invernale con i festeggiamenti delle Lenee;
– Bacab, partorito dalla vergine Chiribirias e venerato nelloYucatan.
Nel 321 d.C. ,Costantino, consacrò il giorno del Sole, dio di cui era fervido sostenitore, al riposo e all’astensione da qualunque attività e, nove anni dopo, stabilì che la ricorrenza della nascita di Gesù venisse festeggiata proprio nel dies solis. Fu papa Giulio I, nel 337 d.C. a dare i crismi dell’ufficialità alla decisione presa dall’imperatore, così come ci informa Giovanni Grisostomo, conferendo univocità ad una ricorrenza che, prima di allora, veniva festeggiata il 28 marzo, secondo San Cipriano, il 23 aprile, secondo Sant’Ippolito, il 20 maggio, il 10 gennaio o il 6 gennaio ( data in cui le fedi ortodosse ,copte e armene continuano a celebrare il Natale) secondo quanto riportato da Clemente Alessandrino.
Orbene, c’era dunque bisogno, alla luce di quanto sopra rammentato e solo per sommi capi riportato, che la parola “Natale” venisse considerata, per così dire, spuria o non adatta all’occasione dai vertici dell’istituto Calvino e, perciò, eliminata dall’invito? Non sarebbe stato più appropriato, semplicemente più giusto, dare risalto a un vocabolo che nasconde ( è il caso di dirlo) e abbraccia risvolti storici così variegati, quasi insospettabili, per chi si avvicina in punta di piedi alla tematica?
Di certo, proprio la presenza, a caratteri cubitali, del vocabolo incriminato, considerate le origini della festività che rappresenta e la singolare evoluzione del suo significato, avrebbe funto da punto di contatto, smussato le asperità e contribuito notevolmente a rinvenire quel senso di collaborazione e di complicità tra allievi che simboleggia l’ obiettivo degli sforzi di preside e docenti di ogni istituzione scolastica. Il tutto, senza alcun sacrificio “verbale”.