Amatrice: molto freddo ma poche case


Per il secondo inverno consecutivo molti tra gli abitanti delle zone terremotate del centro Italia saranno costretti a vivere fuori dalle loro abitazioni, chi in tenda, chi in roulotte, alcuni più fortunati in alberghi o a casa di parenti o altre persone generose.
Già, perché le casette di cui tanto si parlava già la settimana successiva al sisma del 24 agosto 2016 non ci sono e non si sa neppure quando saranno disponibili.
Poco meno di un terzo del fabbisogno ha raggiunto negli scorsi mesi la destinazione ed è stata allestita dalle squadre addette al montaggio quando la stagione era ancora calda, salvo poi accorgersi che quelle abitazioni di emergenza non erano adatte nei luoghi dove servivano. Pare infatti che il modulo abitativo scelto dagli enti preposti a questa bisogna sia stato progettato per zone temperate, non avendo coibentazione delle tubature dell’acqua (che al primo gelo sono scoppiate!) né delle pareti e delle coperture, con conseguenti perdite termiche assurde. In pratica oltre il 50% del calore immesso attraverso stufe o altro si disperde all’esterno anziché scaldare gli occupanti.
Quindi adesso occorrerà predisporre altre squadre che si occupino delle prime urgenti riparazioni, senza contare che le restanti casette non ancora consegnate dovranno (speriamo!) essere nuovamente ordinate in sostituzione di quelle farlocche, generando ulteriori ritardi.
E’ dunque facile profezia prevedere che fino al prossimo disgelo non ci sia alcuna possibilità per queste popolazioni, già abbondantemente provate, di trovare una sistemazione dignitosa, intanto che lo Stato trovi i quattrini per provvedere finalmente alle prime necessità e magari anche quelli necessari a risarcire i danni subiti.
Occorre peraltro dire che le cose non sono andate sempre così. Vale infatti la pena di ricordare un altro terremoto, quello del Vulture, che nel luglio del 1930 uccise oltre 1400 persone. Non appena Mussolini ebbe notizia del disastro convocò il ministro dei Lavori Pubblici, Araldo di Crollalanza e affidò al suo completo controllo l’opera di soccorso e ricostruzione. Il ministro dormì per tutto il tempo dei lavori nel vagone ferroviario che fungeva da base operativa e in 3 mesi furono costruite 3.746 case e altre 5.190 furono riparate e rese nuovamente abitabili.
Dobbiamo anche ricordare il terremoto che colpì l’Aquila nel 2009, per il quale ancora molto resta da fare, ma dove comunque l’allora governo Berlusconi e il premier in prima persona misero in campo risorse sufficienti a far fronte alle prime emergenze. Non fu questo un esempio altrettanto fulgido della buona volontà del nostro popolo – e soprattutto del nostro governo – ma fu senza dubbio qualcosa di assai meglio della rovina morale che si osserva oggi: una classe politica immobile, arroccata sui braccioli delle proprie poltrone a discutere di ius soli, di pericolo fascista, di vitalizi alla casta, di inclusione e di accoglienza mentre i bisogni reali della gente sono costantemente e puntualmente ignorati.
L’Italia è un coacervo di culture e di razze, ben lo sappiamo, così come siamo consci del fatto che non tutti reagiscono allo stesso modo di fronte agli eventi avversi.
Ricordate come la gente del Friuli si rialzò da sola, senza vedere un ghello da Roma, mentre nel Belice si vive ancora nei container in attesa che arrivino gli aiuti dallo Stato?
Non vuole essere un commento razzista, si badi bene, perché anche gli irpinati si rimboccarono le maniche, e non stanno certo al Nord Italia.
Talvolta persino lo stesso evento disastroso nella stessa località genera comportamenti differenti a seconda dell’epoca in cui avviene. Basti ricordare le alluvioni che colpirono Brescello nel 1958 e nei giorni scorsi, per rendersi conto di quale differente reazione abbia avuto la popolazione, allora pronta a tirarsi su le maniche per ricominciare, mentre oggi molti già chiedono l’intervento dello Stato prima ancora che il fango sia stato scopato fuori dalla soglia di casa.
Tutto ciò ci deve aiutare a ricordare che in ogni epoca il nostro Paese è stato soggetto a disastri naturali, causati spesso da ragioni che superano la volontà di chi deve prevenire. Non è infatti un caso che i geologi che secondo qualche politico avrebbero dovuto “prevedere” il terremoto in Abruzzo, quasi fossero consanguinei del mago Otelma, sono stati assolti in prima istanza alla faccia di quei politici che volevano rifilare il badò ad un facile capro espiatorio!
Ma ultimamente il degrado politico ha purtroppo toccato livelli mai visti e quando proprio i politici si fanno beffe del dolore di quel popolo che sarebbero tenuti a proteggere e giocano con la sua pelle, allora no: quello è il momento di dire basta, tirare una riga e fare le somme.
E se il totale è negativo passare all’incasso e cambiare completamente la compagine al comando, perché ormai le troppe mele marce hanno corrotto anche quel poco che ancora si sarebbe potuto salvare.
Ad Amatrice l’inverno sarà molto lungo, forse troppo per i più deboli, il che vorrà dire altre sofferenze per una popolazione che non lo merita, così come non meritano di restare in ginocchio tutte le popolazioni per le quali i governi di questi ultimi hanno si sono serviti per mettersi in mostra agi occhi del mondo senza poi muovere un dito per provvedere ad aiuti concreti.
E, ciliegina sulla torta, che fine avranno fatto i milioni raccolti a furia di due euro per una telefonata? Come mai non se ne sente più parlare? Sarà vero che sono bloccati da qualche pastoia burocratica o se li è intascati il furbetto di turno?
Non lo sappiamo, ma sarebbe auspicabile una bella inchiesta, questa sì utile, mica come la burletta di Casini sulle banche fallite! Ma si sa, sarebbe molto, troppo scomoda per alcuni, quindi meglio voltare la testa e far finta di niente. Tanto tra un po’ sarà tutto dimenticato.
Come al solito.

Intanto ad Amatrice il termometro scende…