Piccoli bugiardi crescono


E’ sempre noioso ritornare su argomenti già trattati, a maggior ragione su di uno sconfortante argomento come le menzogne dei politici, tuttavia il succedersi degli eventi fa sì che talvolta sia utile rinfrescare alla luce di nuovi fatti i concetti già espressi.
Mi riferisco alla vicenda di Banca Etruria, una farsa che nasconde – purtroppo – i tratti di una vera e propria tragedia per molti, troppi risparmiatori traditi da impostori senza scrupoli.
Questa brutta pagina della nostra storia più recente fa parte, come ormai tutti sanno, di un romanzo dell’orrore che coinvolge almeno altri sei istituti bancari: Monte dei Paschi di Siena, le Casse di Risparmio delle Marche, di Ferrara, di Chieti, Veneto Banca e infine Banca Popolare di Vicenza.
Alcune di queste banche hanno avuto storie per molti versi sovrapponibili, tanto che alcune di loro sono entrate a far parte di filoni d’inchiesta unificati. Successivamente le loro storie si sono di nuovo separate e incrociate più volte, seguendo infine, com’è ovvio, storie giudiziarie tra di loro indipendenti, che prima o poi vedranno una fine e – si spera – una giustizia per le tante vittime economicamente colpite.
Ma gli episodi relativi alla posizione di Banca Etruria accaduti nell’ultima settimana suscitano un misto di allarme e di orrore per quanto sta pian piano emergendo mano a mano che i pezzi del puzzle vengono messi al loro posto da chi pazientemente segue la vicenda e non si lascia convincere facilmente da un certo giornalismo di comodo.
In particolare abbiamo potuto assistere nei giorni appena trascorsi alla poco edificante commedia di un magistrato che, dopo aver svolto un incarico di consulenza per il governo guidato da Renzi, é stato ascoltato dalla commissione di inchiesta sulle banche voluta dal governo Gentiloni (ossia da Renzi) e presieduta dal sempreverde Pier Ferdinando Casini che ha appena dichiarato che alle prossime elezioni andrà a braccetto con Renzi.
Cominciate a sentire odore di bruciato? Non siete i soli.
Per inciso (e per farvi arrabbiare ancora di più, non lo nego) osserviamo che la Etruria più che una banca è una famiglia. Infatti ci lavorano, oltre a Pier Luigi, anche Emanuele Boschi (fratello di Maria Elena) in qualità di dirigente (ma va?) e la moglie di lui, Eleonora Polsinelli, communication specialist. Un ambiente molto famigliare, nevvero? Ispira fiducia.
Ma c’è dell’altro: il nostro consulente, nonostante domande specifiche rivoltegli dai commissari (che per fortuna hanno anche variegate estrazioni politiche) avrebbe taciuto dell’indagine sul padre della ex-ministra ed ex-azionista di banca Etruria Maria Elena Boschi, e per questa mancata dichiarazione sarebbe stato accusato da più fronti di reticenza. Non è chiaro dagli atti (di cui parte secretati) se abbia negato o semplicemente taciuto circa le indagini a carico di Pier Luigi Boschi, ma in ogni caso a questo punto il fenomeno avrebbe estratto dal cilindro il suo capolavoro: sembrerebbe che abbia scritto una lettera in propria difesa, nel timore di essere indagato per omissione. E a chi l’avrebbe inviata? Quale magistrato, al CSM, penserete voi. E invece no: l’avrebbe mandata alla medesima commissione che lo ha appena ascoltato! La difesa, poi, è un capolavoro di equilibrismo: avrebbe sostenuto che non è vero che ha taciuto, infatti ad una precisa domanda a riguardo avrebbe risposto affermativamente con un cenno del capo!
Da cui discende, quale verità apodittica, che per essere membro di una commissione d’inchiesta parlamentare non si può assolutamente essere privi della vista, altrimenti si rischierebbe di non poter svolgere correttamente il proprio lavoro!
La buriana causata da questa audizione ha successivamente coinvolto la stessa figlia del signor Boschi, la quale si è vista costretta per non affondare nel ridicolo a querelare con tanto di richiesta danni l’ex-direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, il quale non aveva fatto altro che riportare i fatti.
Il primo pensiero che attraversa le sinapsi riporta alla mente una frase che la ex-ministra disse in merito alla vicenda che vide coinvolta Anna Maria Cancellieri, indagata dalla procura di Roma per aver mentito ai pm sulle sue telefonate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, arrestato dalla procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta su Fonsai. Accusata da più parti per un possibile interesse privato in una vicenda mai chiarita completamente (e ti pare?) la Cancellieri fu anche oggetto di un commento della Boschi, la quale a Ballarò, il 16 novembre 2013, disse a proposito del caso Cancellieri: “Questa vicenda mi lascia un senso di tristezza addosso. Il problema non sono le dimissioni di Cancellieri, il problema è che è in gioco la fiducia verso le istituzioni. Io al suo posto mi sarei dimessa, c’è un punto grave in questa vicenda, che non è la scarcerazione di una persona malata. Il punto grave è che ancora una volta si è data l’immagine di un Paese in cui sono delle corsie preferenziali per gli amici degli amici. Oggi abbiamo perso un’altra occasione di fronte ai cittadini”.
Negli stessi giorni Vincenzo De Luca, viceministro delle Infrastrutture e sindaco di Salerno, era indagato nell’inchiesta per la vicenda Crescent. Renzi e i suoi, anche nei giorni della campagna per le dimissioni di Cancellieri, tennero un atteggiamento molto diverso nei confronti di De Luca, che aveva garantito il suo sostegno alle primarie di due settimane dopo. Diceva Maria Elena Boschi al Corriere della Sera del 24 novembre 2013: “Sulla Cancellieri, come a me pare evidente, non c’è un problema giudiziario ma politico… ci chiediamo se sia il caso che resti lì, in quel ruolo, dopo tutto quanto è accaduto con la vicenda Ligresti… per De Luca, come sostiene Matteo, occorre essere garantisti”.
Brividi lungo la schiena? Beh, signori miei, vorrei vedere il contrario!
Qui di fronte abbiamo una maestra dell’opportunismo, una a cui Machiavelli non sarebbe nemmeno degno di leccare i piedi, ma nonostante ciò continua a rimanere in sella, protetta dalla famiglia e da tutto l’entourage dell’amico Renzi con una faccia tosta da far impallidire Amato quando ammise di prendere 31mila euro al mese di pensione e di non vergognarsene.
Ma torniamo al nocciolo della questione, ossia ai fatti accaduti in commissione di indagine sulle banche.
E’ chiaro che questi teatrini sono fatti per sviare l’attenzione dal problema principale, ossia chi ha le mani sporche di marmellata.
Perché è inutile andare a cercare chi ha rotto il barattolo trovandolo vuoto quanto chi ha rubato la marmellata: il problema non è tanto chi ha compiuto omissioni nei controlli, grandi o piccole che fossero, ma chi ha effettuato operazioni illecite. Può darsi benissimo che la vigilanza abbia avuto delle lacune ma ciò non può essere posto sullo stesso piano di chi ha eventualmnete commesso dei crimini finanziari.
Nel 2008 in USA prima misero in galera Madoff, e solo successivamente indagarono la SEC (NDR: si tratta della truffa di 65 miliardi di dollari che Bernard Madoff aveva ordito ai danni degli investitori della sua holding finanziaria promettendo interessi insostenibili e pagandoli col capitale dei nuovi investitori. La truffa, complice l’incapacità dell’organismo di controllo SEC, fu scoperta quando l’ammontare degli interessi annui da pagare superò i capitali depositati dai nuovi investitori. Tra i clienti direttamente o indirettamente colpiti anche le italiane Unicredit per 75 milioni di euro e il Banco Popolare per 8 milioni di euro).
Sì, perché i vari “ho detto ma non ho detto”, “ho scritto ma avete travisato i miei scritti”, “Tizio è imputato ma Caio è indagato”, così come il continuo rimpallo di accuse dal CdA della banca alla Consob, da questa a Bankitalia e di nuovo al CdA o ai suoi singoli componenti, è null’altro che allungare il brodo, far scorrere a sufficienza la sabbia nella clessidra per poi dire che il tempo è scaduto e buonanotte ai suonatori. La prova? Vedrete che tra Natale e l’Epifania, appena votata la legge di stabilità, Gentiloni si affretterà a rimettere il mandato nelle mani di Mattarella per evitare di cadere in aula sulla spinosissima (per loro!) questione dello Ius Soli.
Che in realtà a questo punto sarebbe giusto chiamare alla romana: “Ius Sola”.