Il revisionismo dei vincitori


E’ nuovamente apparso, in questi giorni, nelle librerie europee, il “libro scandalo” Eine ganze Welt gegen uns (Un mondo intero contro di noi), edito a Berlino nel 1935, documento della perfezione raggiunta, ora, dalla fototipia. Venduto ad un irrisorio prezzo di propaganda, vuole essere un superbo documento della guerra tedesca. E fuori da ogni dubbio, dovrà rappresentare il documento della sua iconografia, adatto, secondo le intenzioni, a trasmettere alle nuove generazioni l’aspetto terribile e orribile di quella guerra, il Primo Conflitto Mondiale, e della guerra in generale, soprattutto quello macabro di cui i teutonici si sono sempre compiaciuti, anche nel secondo dopoguerra. Ma come strumento di propaganda, almeno nei Paesi non tedeschi, il libro raggiunse un effetto diametralmente opposto e riaccese collere e sdegni, non suscitando certo umana comunione, nel dolore e nella sventura che hanno colpito la precedente generazione.
Nello spirito che ha presieduto alla scelta (e che si confessa candidamente nel titolo e nelle prefazioni introduttive), si riafferma, ancora oggi pervicace, lo stupido egoismo nazionale, che fece coalizzare eine ganze Welt (un mondo intero) contro la Germania. Infatti, gli editori delle fotografie riprodotte nel volume si riproponevano di illustrare “virilmente” il volto della guerra (in buona sostanza di eccitare sadicamente uno spirito guerriero con immagini di morte e di stragi di massa), di persuadere, non solo che il popolo della Germania non fu mai vinto in combattimento, ma che perdette la Grande Guerra per un errore di condotta, per aver disperso le proprie forze in territori troppo lontani, invece che concentrarle su teatri decisivi (cioè che l’impresa fallita può essere ritentata con buone probabilità di riuscita) e di invitare il popolo germanico di oggi e di domani a non essere inferiore a quello di ieri.
Ora, in tutto ciò, c’è qualcosa che offende profondamente e che fa domandare se le nazioni non furono troppo indulgenti, anche durante il secondo conflitto, ad imputare ad un giornalismo mendace molte accuse di inumanità mosse ai “crucchi”. Secondo molti, quello che indigna non è la boria nazionale (ad esempio, l’orgoglio secolare dei Francesi e lo spirito, ancora oggi, imperiale degli Inglesi non giungono a produrre nella gente simili reazioni) e neppure lo spirito guerriero, poiché quest’ultimo non esclude la universale coscienza dell’umanità.
Prendiamo Omero, ad esempio, “vate della guerra”, di quasi mille anni avanti Cristo. Lo si vede accomunare le lacrime di Priamo con quelle di Achille. Ci presenta Enea che intuisce la civiltà della nascente Cartagine dalla “pietà” dei quadri della guerra troiana. Sunt lacrymae rerum; c’è un vestigio di un’umana universale coscienza del dolore che domina su tutte le genti!
In questo “rozzo” spirito tedesco (come riportato anche dalla stampa nazionale) si offende l’essenza di ogni catarsi della guerra, la “nibelungica” cieca e stupida sete di sangue.
E, infatti, il riprendere per intero su di sé il vanto della guerra “guglielmina”, senza sceverare l’indubbia grandezza del popolo tedesco dall’assurda e bestiale politica, senza quella revisione del passato che compiono i popoli vincitori e che differenzia la storia dell’era moderna da quella antica ed elimina colpe ed errori, il contestare di aver avuto contro tutto il mondo, senza scrutare la gravità di un anatema mondiale, sembra, davvero, oscurare la storia umana per quella animale.
I protagonisti del nazismo avrebbero dovuto pensare che non si faceva grande la propria patria rendendola inamabile e ripugnante ed escludendola dal Weltgeist (spirito del mondo), col quale soltanto, esiste una grandezza nazionale. O davvero Immanuel Kant o Wolfgang Goethe sono passati, senza lasciare traccia, tra la razza eletta di Arminio?