Panico ispanico


Com’era abbondantemente prevedibile, la tragedia si è trasformata in commedia per poi finire in farsa.
Stiamo ovviamente parlando del tentativo di una parte minoritaria di cittadini della Catalogna di dichiarare l’indipendenza in modo unilaterale e del tutto arbitrario.
Si badi che gli aggettivi espressi nella riga precedente non derivano da considerazioni personali e soggettive di chi scrive, ma sono l’oggettiva valutazione che sorge dalla lettura della Costituzione spagnola.
Senza voler ripercorrere l’intera vicenda, ricordiamo solamente che i partiti indipendentisti hanno indetto un referendum non previsto dalla costituzione spagnola, lo hanno vinto solo perché i contrari si sono astenuti dal votare (spaventati dall’enorme pericolo dovuto alle forze di polizia davanti ai seggi).
Qui il governo centrale ha fatto un grave errore nel cercare di reprimere una votazione che di per sé era comunque nulla. Il che ha fornito il destro agi indipendentisti per sbandierare la violenza di un regime (regime?) dittatoriale.
La concitazione delle giornate successive, con la minaccia di dichiarazione d’indipendenza che viene in effetti dichiarata e subito sospesa (la più breve repubblica della Storia: 14 secondi!), l’intervento un po’ in sottordine del re e le richieste di chiarimenti di Madrid, hanno segnato uno dei periodi politicamente più pasticciati dell’Età Contemporanea.
Infine, chiuso in un angolo da sé steso e dai suoi comportamenti suicidi, il presiedente catalano Puigdemont ha infine passato la patata bollente al parlamento della Generalitat che ha dichiarato l’indipendenza previa uscita dall’aula dei contrari.
Sembrava di assistere alle battute finali del gioco del cerino, con i giocatori terrorizzati dal fatto di potersi scottare, con il risultato che la scottatura se la sono presa tutti: gli indipendentisti che hanno visto la Catalogna commissariata da Rajoy, gli unionisti che hanno visto la loro regione privata di oltre 20.000 posti di lavoro evaporati in una notte con la dipartita di circa 1500 aziende le quali hanno portato le loro sedi in altre zone della Spagna per evitare di restare tagliati fuori dall’Europa, e infine l’intera Spagna che – appena risollevatasi da una crisi decennale – rischia ora di rituffarsi in un marasma economico di cui tutti avrebbero volentieri fatto a meno.
Paradossalmente, in tutto questo pasticcio la posizione più chiara è proprio quella di Puigdemont, giornalista di sinistra prestato alla politica e usato bellamente come testa di ariete e poi sacrificato senza tanti se e tanti ma. Sì, perché la sua situazione, come quella dei quattro membri del suo governo che l’hanno seguito a Bruxelles, è chiarissima: non sono esiliati, non sono richiedenti asilo, non sono in visita. Sono semplicemente fuggiaschi.
La mancata presentazione all’interrogatorio predisposto dai magistrati spagnoli li ha resi passibili di arresto e adesso il Belgio avrà una bela rogna da grattarsi, avendo (pare) in un primo tempo dichiarato di voler concedere l’indipendenza per poi rimangiarsi la parola mentre i cinque politici catalani esautorati erano già in viaggio in auto alla volta di Marsiglia!
Teniamo a sottolineare la figuraccia cosmica di Puigdemont, che costerà alla sua parte politica un bel po’ di consensi. Ma come, si chiederanno in molti, proprio colui che dichiarava di voler sostenere la repubblica a qualsiasi costo ci lascia in braghe di tela e scappa al primo alito di vento contrario?
Senza contare che i partiti indipendentisti non hanno mai rappresentato la maggioranza della popolazione catalana, avendo avuto circa il 40% dei suffragi nell’ultima tornata elettorale, che li ha portati al governo della Catalogna per un meccanismo di premi di lista da far rabbrividire.
A maggior ragione oggi, dopo questa figura meschina, è facile prevedere che la cordata unionista conquisti la maggioranza nelle elezioni indette forzosamente da Madrid per il 21 dicembre prossimo (data che da noi sarebbe improponibile data la vicinanza delle feste natalizie!), dando la mazzata finale ai sogni indipendentisti di una parte dei catalani.
A questo punto si possono prevedere alcuni possibili scenari per il prossimo futuro.
Quello più probabile è il ritorno ad una pressoché totale normalità entro l’inverno, con l’insediamento del nuovo parlamento regionale e una maggioranza unionista di cui però non è assolutamente chiara la stabilità.
In tal caso è possibile che almeno una parte delle aziende e delle banche transfughe tornino nella ricca terra catalana contribuendo a quello che fino a pochi giorni fa era il 20% del PIL spagnolo. La sospirata indipendenza rimarrà nel cassetto e solo tra qualche anno la Catalogna tornerà ad avere la forza politica per chiedere: l’autonomia fiscale, che già in passato avrebbe dovuto essere la richiesta regina delle sinistre indipendentiste ma che con una politica maldestra hanno visto sfumare.
L’altra ipotesi, che fino a qualche giorno fa era plausibile ma che ora pare tramontata definitivamente, è la possibilità di una sollevazione popolare che porti a uno scontro diretto con moti di piazza e quant’altro. Questa eventualità porterebbe dritto verso un bagno di sangue, che nessuno auspica, nemmeno l’intransigente Mariano Rajoy.
Oggi poi, che i capi in testa della coalizione indipendentista hanno fatto una vergognosa figura di palta scappando come topi dalla nave che affonda, nemmeno i loro sostenitori sarebbero disposti a scontri duri per una causa che ha mostrato i suoi piedi d’argilla a tutta l’Europa.
Già, e l’Europa? Ebbene, a parte il goffo afflato libertario mostrato da un Belgio che ha già i suoi problemi tra fiamminghi e valloni senza portarsi in casa i guai altrui, l’Europa ha dichiarato chiusa la faccenda. E’ un affare interno della Spagna, punto e basta.
Inoltre la Catalogna come stato indipendente non avrebbe la benché minima possibilità di sedere a fianco dei Ventisette, giacché il suo ingresso sarebbe subordinato ad un voto unanime che la Spagna non accetterebbe mai.
Ecco, questo è stato forse il più grande errore di Puigdemont e soci: il non capire che l’indipendenza li avrebbe sbattuti fuori dall’Europa senza che il Paese avesse un substrato economico e politico da nazione neutrale (come la Svizzera ad esempio) che ne avrebbe salvaguardato il futuro.