Il CIO vuole gli e-Sports


Si narra che Vespasiano, antico imperatore romano che tassò l’accesso agli orinatoi pubblici, ai suoi detrattori soleva dire “pecunia non olet” (NDR: il denaro non puzza).
Così il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, ammiccando al ricco mondo dei viedogames, ha sentenziato che “gli e-Sports competitivi possono essere considerati un’attività sportiva e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un’intensità che può essere paragonata agli atleti degli sport tradizionali”.
In realtà ciò che deve essere balzato evidente agli occhi dei discendenti del barone De Coubertin, il fondatore dei moderni giochi olimpici, quello per cui l’importante non era vincere ma partecipare, è piuttosto il ricchissimo mondo dei ricavi associati al mondo dei videogames.
Secondo una recente ricerca di marketing, infatti, il settore vanta un pubblico di 320 milioni di appassionati (nel 2014 quarantamila spettatori hanno assistito al Mondiale di League of Legends a Seul) e ben 493 milioni di dollari di ricavi e si prevede che entro il 2018 le entrate potranno innalzarsi a un miliardo di dollari americani con un pubblico mondiale di quasi 500 milioni di spettatori, a causa di tutto quanto conseguirà in termini di vendite dei videogames, di sponsor e diritti televisivi.
Fortunatamente, per ora, sembra che manchino i requisiti perché gli e-Sports diventino a breve uno sport olimpico. Infatti, per essere pienamente riconosciuti sport olimpici, i videogames dovranno comunque rispettare alcuni requisiti necessari, come la diffusione su scala mondiale con presenza significativa in ciascuno dei 5 continenti con equa presenza di uomini e donne. Dovranno, inoltre, rispettare i valori olimpici per cui, ad esempio, non potranno essere considerati i videogames basati sulla violenza e garanzie dovranno essere date per evitare le problematiche legate al doping o alla criminalità legate al mondo delle scommesse.
Ma si tratta di una impasse di breve periodo in quanto tra i paesi leader che spingono maggiormente in questa direzione che molti reputano meramente speculativa vi è, ovviamente, la Cina che già nel 2022 accoglierà gli e-Sports tra le discipline ufficiali degli Asian Games.
Ma anche in Italia i videogame trovano sempre più estimatori e proprio in questa ultima settimana si é tenuta in Toscana il Lucca Comics & Games, l’evento di fumetti e videogiochi più seguito in Italia, addirittura giunto alla sua 51a edizione.
In definitiva sembra si tratti solo di trovare le formule etiche giustificative appropriate per considerare un ricco business di attività ludiche svolte sedentariamente alla consolle elettronica al pari delle specialità olimpiche basate sulla fatica e sul sudore.
Quanto sopra, con buona pace delle indicazioni dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che indica in preoccupante aumento il tasso di obesità infantile ed adolescenziale nelle società industrializzate dove, è facile prevedere, gli e-Sports avranno maggiore diffusione e a cui il CIO, che dovrebbe essere depositario non solo dello spirito del barone di De Coubertin ma tenere a mente anche il messaggio promotore di sedentarietà e di sostanziale isolamento che passerà attraverso la proposizione degli e-Sports, sembra indifferente.
Di certo un messaggio in controtendenza a quello (che invece dovrebbe essere sostenuto) dello sport quale attività fisica promotrice di salute e forma di aggregazione sociale.
Oramai sempre più vicino al più sfacciato business system, il CIO sembra davvero lontano dai precetti di De Coubertin.