MOSE non salva più dalle acque


Il vicedirettore di Radio 24, Sebastiano Barisoni, ogni venerdì nella sua trasmissione stila la poco rassicurante classifica degli sprechi di denaro pubblico perpetrati da enti e istituzioni.
La scorsa settimana il primo posto è toccato alla faraonica opera denominata MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico), destinata a salvaguardare la laguna veneta dal fenomeno dell’acqua alta.
Come tutti ormai sanno, si tratta di un sistema di paratoie posizionate sul fondo della laguna in prossimità delle “bocche di porto”, ossia le aperture di Malamocco, Lido – San Nicolò e Chioggia che collegano la laguna all’Adriatico, in grado di sollevarsi allorquando le condizioni mareali siano tali da provocare il tanto detestato fenomeno che assedia periodicamente i veneziani da oltre un secolo.
Sì, perché l’acqua alta non ha sempre invaso le isole veneziane, anzi possiamo dire senza alcun dubbio che il fenomeno sia stato causato dagli interventi umani. Infatti nel corso dei secoli il corso dei fiumi Brenta e Bacchiglione è stato deviato più volte modificandone le foci, poi la costruzione dell’area industriale di Porto Marghera ha dato il colpo di grazia alla già troppo vulnerabile costa veneziana.
Il Mose, insieme ad altri interventi di riqualificazione della laguna, dovrebbe garantire la difesa di Venezia e della laguna da tutte le acque alte, compresi gli eventi estremi: infatti è stato progettato per proteggere Venezia e la laguna da maree fino a 3 metri e attualmente la sua entrata in funzione è prevista per maree superiori a 110 cm.
L’esecuzione dei lavori è affidata al Consorzio Venezia Nuova che opera per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia. La realizzazione dell’opera è stata avviata nel 2003 contemporaneamente alle tre bocche di porto lagunari e ha raggiunto un avanzamento pari a oltre l’85%.
Il 4 giugno 2014, nell’ambito di un’inchiesta anticorruzione da parte della magistratura italiana, sono scattati 35 arresti e 100 indagati eccellenti tra politici di primo piano e funzionari pubblici (compresi l’ex-governatore del Veneto, Galan, il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mazzacurati, la ditta Mantovani e molti altri) per reati contestati quali creazione di fondi neri, tangenti e false fatturazioni.
A seguito delle vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti parte degli organi dirigenziali del Consorzio Venezia Nuova e delle sue imprese, lo Stato è intervenuto al fine di assicurare il proseguimento dei lavori e la conclusione dell’opera, il cui collaudo è ora previsto per il 2022, con undici anni di ritardo sul previsto!
Ma il fatto più grave è che il Mose non funziona e forse non funzionerà mai. Oltre alla gargantuelica malversazione su cui ancora indagano i magistrati, veniamo a scoprire che i responsabili operativi della realizzazione non sono nemmeno capaci a costruire.
I dati parlano chiaro: l’intera opera è passata da un costo iniziale previsto di 1,6 miliardi di euro agli attuali stimati 5,5 miliardi, ai quali si devono adesso aggiungere altri 700 milioni per il completamento e 105 milioni l’anno per il suo funzionamento. Dove trovare questi fondi nessuno lo sa.
Va fatto notare che tra le varie soluzioni studiate in alternativa a questo sistema ciclopico vi era quella di rifare le fondamenta e dragare i canali, oltre a un riposizionamento delle foci in laguna, per tornare a una situazione simile a quella precedente al XVI secolo, cosa questa che avrebbe senza dubbio giovato molto nell’attenuazione del fenomeno dell’acqua alta.
Ma ovviamente con dei semplici dragaggi non c’era sufficiente trippa per gatti, così si è scelta la soluzione più dispendiosa, che avrebbe meglio coperto lo strascico di ruberie.
Il Consorzio Venezia Nuova propose anche un’immensa opera di isolamento di piazza San Marco che consisteva nella stesura di un’immensa guaina intorno all’area, come un gigantesco preservativo che doveva impermeabilizzare tutta la zona, con un costo – anche qui – allucinante.
Fortunatamente qualcuno si è accorto che per mettere in sicurezza la piazza dall’acqua alta fino a 110 cm bastava un intervento da 2 milioni di euro che bloccasse l’ingresso dell’acqua dal sottosuolo.
Ma proseguiamo. Recenti controlli sulle strutture hanno evidenziato quanto segue:
il mose ha cedimenti strutturali dovuti alla corrosione elettrochimica nell’ambiente marino e per l’uso di acciaio diverso da quello utilizzato nei test preliminari (ma si può?);
le cerniere che collegano le paratie mobili alle basi in cemento (ce ne sono 156 da 36 tonnellate ciascuna, fornite dal gruppo Mantovani che ha vinto senza alcuna gara un appalto da 250 Mn di euro) sono ad altissimo rischio e si è valutato che ad oggi possono già essere inutilizzabili in una percentuale che varia dal 70 al 100%! Un controllo ha tra l’altro evidenziato che la cerniera di Cavallino – Tre Porti, sommersa da tre anni e mezzo, è già in avanzato stato di corrosione! Ci chiediamo: come si può realizzare una cerniera che deve operare sott’acqua in un materiale che dopo tre anni è già corroso?
Inoltre, in questi ultimi mesi sono stati fatti test di funzionamento che hanno mostrato come alcune paratoie non si alzano, altre si alzano ma non si abbassano, altre vorrebbero abbassarsi ma non ci riescono perché le sedi in cui dovrebbero rientrare sono piene di detriti che le bloccano… Insomma, ogni paratoia fa il cavolo che vuole tranne che il proprio dovere.
Vi sono poi problemi con le tubazioni dell’impianto di sollevamento, un cassone è esploso nel fondale di Chioggia, una nave speciale, costata 52 milioni di euro per trasportare le paratoie in manutenzione fino all’Arsenale, si è rotta al primo tentativo di sollevare una delle paratoie!
Mi fermo qui, anche se l’elenco sarebbe ancora lungo.
Voglio concludere questo breve articolo con una considerazione: la corruzione e il peculato sono sempre esistiti: l’uomo non è di legno, lo sappiamo e siamo ormai vaccinati da anni e anni di storie simili a questa. Però ci dispiace raccontare un fatto del genere, soprattutto per due motivi. Il primo è che nell’operoso nord-est non ti aspetteresti situazioni di questo tipo, almeno non così eclatanti. Il secondo è che spiace enormemente dover constatare che il settore delle costruzioni, un tempo vanto di questo piccolo Paese, non solo è degradato moralmente in modo abissale, ma non sa più nemmeno costruire!
La rete autostradale italiana, buona parte della rete ferroviaria, le mille gallerie che bucano le nostre montagne, sono state il frutto del lavoro di persone capaci, in grado di fare apprezzare in tutto il mondo il modo italiano di costruire.
Oggi invece non sanno nemmeno più rubare con furbizia: si fanno beccare con le mani nella marmellata e le loro opere si sgretolano e si corrodono tra le risa e gli sberleffi di un mondo che – anche qui come altrove – rischia di superarci e di lasciarci indietro.