Non è colpa nostra


Spesso mi è capitato in questi giorni di ascoltare commenti di ogni genere in merito all’uccisione di un ladro penetrato in casa di un avvocato di Latina.
Il fatto in sé non meriterebbe commenti particolari, salvo far notare che – come al solito – il povero avvocato Palumbo si vedrà perseguire per omicidio volontario a dispetto della nuova legge sulla legittima difesa abitativa.
Magari se la caverà, ma avrà comunque dovuto subire ingiurie, calunnie, notti insonni, spese mostruose laddove una società civile gli avrebbe conferito una medaglia.
Ciò che invece ci fa fremere di rabbia sono alcuni commenti letti sui social network, che suonano più o meno così: “In fondo la colpa è anche nostra, perché non facciamo nulla per cambiare questo stato di cose”.
Affermazioni come questa, infarcite di qualunquismo della peggior specie, alimentano in coloro che leggono la sensazione di impotenza e di disperazione che ormai attanaglia una buona parte di italiani.
Infatti non vi è bar, osteria o panchina di giardino pubblico dove non si sentano frasi di questo tipo, seguite da scuotimenti sconsolati di teste, allargamenti inconsolabili di braccia e giaculatorie più o meno rispettose della divinità anche in persone timorate.
E’ il serpente dello scoraggiamento che si morde la coda e ad ogni morso si ingrossa sempre di più.
Occorre stare attenti a situazioni come questa, perché lo scoraggiamento è l’arma migliore in mano ai monarchi e ai tiranni, i quali approfittano della buona fede della gente per meglio controllarla. Oggi i social network più ancora che la televisione e i media tradizionali hanno un impatto distruttivo sulle persone, specialmente su quelle che – non preparate – ingenuamente accettano come dogma qualsiasi affermazione proveniente dalla rete, quasi che questa fosse l’unica dispensatrice di verità cui credere ciecamente.
Lo vediamo tutti i giorni: le cosiddette “faking news” vengono raccontate in giro come notizie vere da coloro i quali, per dabbenaggine o ignoranza, vi hanno creduto.
Il problema è serio ed esteso: addirittura la CEE e l’ONU stanno pensando a come affrontarlo. Tuttavia questo non deve tranquillizzarci: gli organi di potere troppo frequentemente ci tranquillizzano per poi fregarci meglio. Basti pensare al prelievo forzoso notturno del 9 luglio 1992 effettuato dal governo Amato, che dopo aver per giorni interi tranquillizzato l’opinione pubblica penetrò i forzieri delle banche rastrellando il 6% da tutti i conti correnti!
Potrei fare altri esempi sulla stessa falsariga, ma ritengo più importante focalizzare l’attenzione sul punctum dolens della questione: oggi persone delle più svariate classi sociali e di ogni età, dalla vecchietta al pescatore e al sarto, dallo studente che naviga su internet ma non conosce i nomi dei mari italiani fino al professionista che per mancanza di tempo demanda l’informazione alle news del proprio smartphone, sono disposti a credere a ciò che la rete racconta loro.
Aggiungiamo a questo il fatto che ormai pochissimi individui leggono, quindi si informano, quindi imparano, e otteniamo una miscela più esplosiva di una bomboletta nel microonde.
Sì, perché solo con l’abitudine alla lettura l’informazione rientra nell’alveo della verità e le bufale tornano a pascolare e a dare le mozzarelle.
Senza cultura di fondo, senza conoscenze di base, grazie anche a una scuola che non insegna più le nozioni (ritenute inutili da una genìa di insegnanti post-sessantottini cresciuti con il libretto rosso di Mao al posto del sussidiario prima e del vocabolario di latino poi) ci scopriamo a scandalizzarci delle risposte date dai giovani (ma non solo) intervistati da Le Iene a domande tipo: “Chi era Hitchcock?” (Risposta: “Un drogato”) o “Sei favorevole ai matrimoni eterosessuali?” (Risposta: “Sì certo, sono persone come noi”).
Sulla base di una situazione così precaria della cultura italiana, si capisce come certe frasi possano venire assimilate e digerite in modo quasi sempre errato e poi ripetute come un’eco senza in realtà sapere cosa si sta dicendo.
Quindi, scrivere e diffondere l’idea che il cittadino è impotente di fronte allo Stato è quanto di peggio possa capitare al cittadino e, di converso, quanto di meglio possa accadere allo Stato che vuole approfittarsene.
Se leggo che le strade sono piene di borsaioli ma noi non possiamo farci niente mi verrà naturale cucirmi il portafogli in una tasca segreta della giacca anziché tenere gli occhi aperti. E se leggo che un mio connazionale è stato sgozzato da un forestiero (non usiamo il termine migrante, per carità, sennò la presidenta ci dà dei razzisti!), ma non possiamo farci nulla, mi verrà spontaneo guardare tutti i forestieri con sospetto, accrescendo inconsciamente il livello di odio razziale.
Ebbene, posso qui affermare che non è così. Non è colpa nostra! Non dobbiamo ritenerci responsabili di quanto sta accadendo e del degrado che sta sgretolando la nostra millenaria civiltà: la colpa è loro, di quelli cioè che da decenni stanno manovrando per appiattire la nostra cultura su una cosiddetta cultura alternativa, interrazziale, dell’accoglienza o come cavolo la volete chiamare.
Possiamo farci qualcosa eccome! Possiamo ad esempio riprenderci la nostra cultura evitando di cancellare le croci sui campanili nelle fotografie pubblicate sui giornali “per non offendere le altre fedi religiose”. Ma siamo impazziti? Forse che se vado in IRAN tolgono il velo alle donne e le mezzelune sulle moschee al mio passaggio?
Noi siamo quelli che coprono le nudità delle statue alla visita di un capo di stato musulmano e poi si mettono il velo quando vanno a casa loro (vero futura-non-più-presidenta?).
Siamo quelli che fanno ponti d’oro a Gheddafi manco fossimo dentisti dopo che questi ebbe cacciato con i soli vestiti addosso ventimila italiani residenti in Libia, confiscando loro tutti i beni.
Siamo, insomma, dei cacasotto. Non abbiamo nerbo e non siamo in grado (quasi mai) di reagire ai soprusi, sia provenienti dall’esterno, sia – e ciò è assai peggio – se perpetrati da coloro che sono stai eletti per rappresentarci.
Ma perché dovremmo aver paura di costoro? Massa di infingardi pronti solo ad attaccarsi alla poltrona come una patella allo scoglio, cambiando casacca ad ogni alito di vento in barba agli elettori pur di non perdere i proprî privilegi, grazie alla sciagurata norma costituzionale che non impone il vincolo di mandato.
Perché, ripeto, dovremmo temerli? Non sono più nessuno, non hanno più nessuno a sostenerli! Guardate la foto qui riprodotta: a Savona un CIE (centro di identificazione ed espulsione) è stato fatto sfilare in un corteo antifascista perché non c’erano italiani da far sfilare! Sono ormai regrediti allo stato larvale e tra pochi mesi, a meno di leggi elettorali ancor più truffaldine di quelle già escogitate, li vedremo uscire dai palazzi del potere con gli occhi bassi e lucidi, dando genericamente la colpa alla destra reazionaria e fascista.
Dunque, ben lungi dal non poter fare nulla, ben lungi da addossarci colpe non nostre, possiamo fare gesti memorabili con le nostre piccole dita: possiamo stringere una matita copiativa e fare una croce su di un foglio di carta.
I lombardi, più fortunati e più ricchi, appoggeranno semplicemente il polpastrello su di un tablet, ma il risultato sarà lo stesso: avremo mandato a casa una generazione di burocrati approfittatori. Avremo privato lo Stato di armi di distruzione di massa rivolte costantemente al nostro borsellino.
E avremo stipulato una vantaggiosissima polizza a favore dei nostri figli e dei nostri nipoti