La Libia sarà per l’Italia una Caporetto


Catone diceva al Senato romano “Carthago delenda est” (NDR: Cartagine deve essere distrutta), esibendo un cestino di fichi colti solo poche ore prima nelle terre nordafricane ricadenti nell’area di influenza del potente alter ego di Roma antica: voleva così dimostrare che se il fico – frutto assai delicato – poteva resistere al viaggio da Cartagine, quest’ultima era troppo vicina a Roma e quindi andava distrutta.
La storia, di certe opportunità vicine da cogliere al volo e in modo deciso, in qualche modo si ripete ma noi sembra che non impariamo da essa.
Nella buona sostanza la Libia che proprio per la sua vicinanza, per le risorse energetiche di cui dispone, ci dovrebbe vedere proattivi e interventisti, ci vede tremebondi e incapaci di indirizzarci con decisione e sembra invece essere una vera e propria spina nel fianco della nostra inconcludente e male indirizzata azione politica estera.
Un atteggiamento di apatia diplomatica di cui l’intraprendente leader francese Macron sta facilmente approfittando.
Il leader transalpino, salutato dalla nostra sinistra come il salvatore d’Europa, colui che avrebbe dovuto rilanciare l’idea comunitaria dopo lo schiaffo della Brexit, sta invece navigando sotto e sopra l’acqua del mare nostrum per soffiare all’Italia ogni ipotesi di futura partership privilegiata col paese nordafricano, storicamente invece nostro partner commerciale, lasciandoci però il peso dell’accoglienza dei migranti.
E così che l’enfant prodige di Parigi, che predica bene e razzola assai male, al pari di un prestigiatore ha illuso le menti dei semplici con la promessa di una rinnovata europa, ma tira l’acqua della diplomazia solo al mulino francese. Un bel modo di dividere, da buoni e leali coinquilini di casa Europa, gli onori e gli oneri!
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo, sia pure rapidamente, la storia del fallimento annunciato dei nostri sforzi diplomatici in Libia.
Caduto Gheddafi per volere degli americani, si è scoperto nel paese libico il vaso di Pandora prima tenuto ben coperto, nel bene e nel male, dal rais.
La coalizione con a capo gli USA, la Francia e l’Inghilterra, ha instaurato un governo fantoccio con Fayez Al Serraj definito “presidente” ma avente a malapena il controllo della Tripolitania. Il resto della nazione, passando per la Cirenaica, sostanzialmente era ed è nelle mani del generale Khalifa Haftar, Ufficiale di quello che fu l’esercito di Gheddafi.
L’Italia, credendo la situazione oramai delineata e nella servile adesione a una coalizione che, a ben vedere, ci tratta paritariamente solo nei testi dei discorsi d’occasione, parimenti ha ricomosciuto il burattino Serraj come interlocutore e, con una buona dose di ignavia diplomatica, nella presunzione di potersi sedere al tavolo dei vincitori con la minima esposizione, ha assicurato un mero supporto sanitario in terra libica continuando, anzi intensificando, il traghettamento dei migranti dal nord Africa sino alle nostre coste.
La situazione è cambiata, decisamente, con l’ascesa di Macron all’Eliseo. Il giovane leader teansalpino, salutato da parte degli imbonitori nostrani come l’espressione di un rinnovato sentimento europeo ha stupito chi, supinamente, gli aveva dato credito e, invitando il Generale Haftar al tavolo delle trattative diplomatiche col presidente Serraj, nella buona sostanza lo ha sdoganato quale interlocutore diplomatico.
La foto, dove Macron presenzia alla stretta di mano tra il generale e il presidente, sembra anticipare il ruolo della Francia quale stato tutore della futura Libia con tutto ciò che, economicamente, conseguirà.
Ma Macron non si è limitato a mere iniziative di facciata. Macron, evidentemente, non ama solo organizzare incontri formali. O, per lo meno, non lo fa come fatto fine a sé stesso. Lui, a differenza di noi italiani che amiamo fare solo da tappezzeria, si sta rivelando un pragmatico e un interventista e ha promesso l’apertura di una serie di “hot spot”, ossia dei centri di accoglienza in terra libica, guarda caso gestiti e protetti da un corpo di spedizione francese.
Una proposta che gli ingenui sostenitori della flebile e comunque mal riposta azione italiana portata avanti da Gentiloni hanno qualificato come mero espediente per vanificare il peso della missione navale in acque libiche annunciata dalle stesse autorità italiane.
Quale autoreferenziale giudizio e quale sorpresa, per questi benpensanti, deve essere stato lo stop dato dalla Francia a fine luglio al controllo di Fincantieri degli ex Chantiers de l’Atlantique, in una mossa nazionalizzatrice che l’Eliseo ha annunciato proprio nel chiaro segno di privare l’Italia di una competitività, anche sul piano militare navale, segno evidentissimo di un arrivismo cisalpino non previsto o sottostimato dal nostro sognante esecutivo.
La questione infatti, a ben vedere, non riguarda solo Fincantieri. Marchi storicamente italiani e fiori all’occhiello del nostro Belpaese come Gucci, Bulgari, Luxottica, Fendi, Telecom Italia, Edison, Acea, Parmalat, Banca Nazionale del Lavoro, Cariparma, Nuova Tirrenia, etc. etc. sono in tempi più o meno recenti passati sotto il controllo dei galletti d’oltralpe. L’estromissione di Fincantieri, quindi, è solo l’ultimo atto di una politica economica tendente a rafforzare la Francia a spese del nostro paese.
La Libia, quindi, è solo l’ultimo capitolo di un individuale interventismo francese che Macron ben persegue, atteggiamento lontano da una sincera volontà di cooperazione europeista, ove fanno ovviamente gola i giacimenti di petrolio e di gas naturale nonché il controllo degli oleodotti e dei gasdotti verso l’Europa.
E mentre anche gli USA abbandonano di fatto il pupazzo Serraj preferendo al momento una posizione più defilata, Roma continua a fare l’oca giuliva sostenendo Serraj, tra l’altro vanificando il notevole lavorio dei nostri servizi che erano riusciti a “orientare” a nostro favore numerosi capi tribù.
Prova è della estrema debolezza di Serraj è che oggi anche a Tripoli, fino a poco tempo fa sua roccaforte, il generale Haftar riscatta consensi con l’appoggio più o meno ufficiale di Russia, Egitto, Emirati Arabi e …. Francia.
Il destino italiano, continuando ottusamente il nostro paese a sostenere il sempre più debole Serraj, viene sempre più collegato a quello del perdente presidente e sempre più messo in discussione dalla stessa Libia al punto che ora questa scaccia via financo le nostre navi dalle coste libiche, il cui intervento fu sollecitato da Serraj per ragioni umanitarie, rivendicando la piena sovranità delle loro acque territoriali.
Sembra ovvio per una nazione rivendicare la potestà sulle proprie acque costiere ma, a ben vedere, si tratta di un chiaro segnale di cambio di atteggiamento innanzi tutto verso l’Italia, che proprio grazie al forte impegno della Marina Militare aveva caratterizzato il proprio supporto alla Libia.
Insomma, un mutato atteggiamento che riflette la inconcludente politica estera italiana che, ancora una volta, ha scommesso sul cavallo sbagliato e che, in ogni caso, ha avuto un atteggiamento timido nella speranza di poter fare marcia indietro se le cose si fossero volte in un’altra direzione ma dimentichi che l’osso libico fa gola a molti cani e che il concetto di Europa unita a base di cui ci dovrebbe essere la più ampia lealtà tra paesi concorrenti è tale solo nell’ideale dato in pasto al popolo italiano.
La situazione che invece si sta delineando, ma che in verità era sotto gli occhi di tutti, è la seguente: a noi italiani i gravosi oneri dei migranti e ai francesi gli onori dei ricchi contratti economici con i paesi nordafricani.
Tornando in particolare alla situazione libica, in definitiva la nostra politica estera è caratterizzata da un atteggiamento poco attento ai segnali indicanti il cambiamento della situazione, attuato con ignavia, inconcepibile basso profilo, attendismo e servile accondiscendenza. Un apparente intelligente macchiavellismo che in verità, come la storia insegna, non ci ha mai ripagato granché in politica estera e che, se non si correrà ai ripari, ci condurrà alla ennesima disfatta.