La novellata legittima difesa: solo di notte?


Il 4 maggio 2017 a Palazzo Montecitorio si è votata la proposta di legge che riconosce come legittima difesa la reazione alle rapine notturne ed ha ottenuto il primo via libera del Parlamento. La nuova legge è stata approvata dalla Camera dei Deputati con 225 Sì, 166 No e 11 astenuti. Il testo è ora sottoposto al vaglio del Senato. I punti salienti della legge. Gli emendamenti dei democratici hanno comunque ampliato la possibilità di ricorrere all’uso delle armi da parte della vittima. Il primo emendamento, infatti, prevede che per la vittima di un’aggressione la reazione è considerata legittima difesa, quindi anche possibile con le armi, quando si verifica “di notte”, con “violenza sulle persone o sulle cose”. Il secondo, invece, precisa l’esclusione della colpa di chi reagisce “in situazioni di pericolo attuale per la vita, per l’integrità fisica, per la libertà personale o sessuale”. Infine, nel caso in cui chi ha esercitato la legittima difesa sia stato indagato ma venga assolto, tutte le spese processuali e i compensi degli avvocati saranno a carico dello Stato. Un onere per l’erario stimato in 295.200 euro a decorrere dal 2017. La norma sulle rapine notturne si rifà a un analogo provvedimento vigente nella legislazione francese, che prevede appunto la legittima difesa per l’atto di respingere aggressioni perpetrate di notte con aggressione, violenza ed inganno. I recenti fatti di cronaca hanno riportato all’attenzione delle masse l’annosa questione della legittima difesa e dei suoi limiti. E’ opportuno, quindi, che si parli della legittima difesa ed è altrettanto corretto che la discussione avvenga a livello mediatico ed a livello tecnico. Ovviamente il primo è imposto su basi logico-sociali, certamente molto interessanti, ma non devono avere la pretesa di sostituire la regola tecnico-giuridica che è quella di cui all’art.52 c.p. Tale precisazione è essenziale non potendo lasciare anche a professionisti di spessore, ma non giuristi, affermazioni rese pubblicamente ed inaccettabili. Ed ecco un piccolo schema giuridico, ovviamente solo orientativo, per entrare nel merito della questione. Ciò premesso:
1) All’art. 575 c.p. il legislatore punisce chiunque “cagiona la morte di un uomo”;
2) Tale “fattispecie concreta” porta alla contestazione del delitto di omicidio:
3) Il legislatore nell’ipotesi di reato (chiunque cagiona la morte di un uomo) prevede però che “nel caso concreto” si possano verificare delle circostanze di fatto che escludono la punibilità di quello che “astrattamente” viene considerato reato.
4) Una di queste ipotesi è appunto costituita dalla presenza nel fatto-reato di una c.d. causa di giustificazione denominata “legittima difesa”, la quale ricorre allorché vi sia “aggressione” che presenti i requisiti di un’offesa ingiusta all’altrui diritto e con sequenzialmente una “difesa” che deve essere proporzionata all’offesa.
La regola così come dettata dal legislatore è da considerarsi certamente equilibrata. E’ necessario però chiedersi chi accerterà i requisiti “dell’aggressione” e quindi la “proporzione” nella “reazione”? Chi accerterà se l’aggredito ha ecceduto nella difesa? Chi avvedrà se “l’aggressione” benché ingiusta non costituisca altro che “l’occasione” per scatenare da parte dell’offeso vecchi rancori che non hanno alcun collegamento causale con la predetta offesa? La situazione di fatto deve essere “sub-iudice”, non si può considerare una mera operazione matematica. Il discorso ovviamente si complica quando si tratta di accertare e valutare la legittima difesa domiciliare attuata con arma. Sinteticamente: quando il ladro e/o l’estraneo e/o si introduce nella mia abitazione o sul luogo di lavoro, posso utilizzare un’arma per difendermi? Certo la situazione di fatto è molto più delicata nella misura in cui è il legislatore che in tale ipotesi ritiene accertato il “rapporto di proporzione” con conseguente legittimazione nell’uso dell’arma. Ma anche in questo caso espressamente il legislatore mi chiarisce i “contenuti” della proporzione e fa espresso riferimento alla difesa della propria e dell’altrui incolumità oppure quando non vi sia desistenza e si configuri un pericolo di “aggressione”. E’ di tutta evidenza che in questo secondo caso l’intervento di un giudice è ancor più pregnante, incisivo, delicato, non dovendo costui nella sua indagine trascurare la valutazione di situazioni non aprioristicamente descrivibili in astratto che possono anche avere soluzioni diverse per la peculiarità del fatto concreto e specifico. Piccoli esempi pratici possono venirci in soccorso per cercare di rendere meno difficile la comprensione della norma: se la camera da letto è sita al secondo piano e soffrendo di insonnia mi affaccio al balcone di casa, ed individuo due sconosciuti che scavalcano il cancello del giardino in possesso di un’arma certamente posso sparare, ma non è detto per uccidere, posso sparare in aria, in prossimità degli intrusi, mirare a zone non vitali del corpo, ma non certo munirmi di mirino per ucciderli. Diverso è il caso in cui mi trovo anche a contatto semi-diretto con intrusi nella mia abitazione o nel mio negozio. Nella regolarità logica costoro non possono che essersi introdotti in tali luoghi allo scopo di aggredire il mio patrimonio costituendo oggettivamente anche pericolo per la mia incolumità, in quanto, se vero che costoro non sono in grado di conoscere le mie reazioni, è altrettanto certo che anche io, aggredito, non posso aprioristicamente ponderare il loro agire anche, ad esempio, di fronte ad un mio gesto improvviso ed inconscio per la situazione contingente, ma privo di reattività. Fondamentalmente “nel caso concreto”, è che l’indagine del Magistrato, essenziale ai fini dell’accertamento della verità, tenga conto anche dei profili soggettivi, della personalità, della natura caratteriale di entrambe le parti. Ovviamente in tal caso ci saranno specifiche ipotesi legali applicabili ad un caso del genere. La problematica non è semplice, il legislatore però deve fornire agli operatori giuridici una regola chiara, lineare, priva di orpelli descrittivi quali riferimento ad es. alla “notte”. Il Giudice dal canto suo “istituzionalmente delegato” ad applicare la legge deve dapprima interpretarla ed in un secondo luogo applicarla con criteri di concretezza, realità e socialità, non trascurando assolutamente la valutazione dei profili soggettivi. Per capire tale operazione è necessaria preparazione ed equilibrio. L’ultima domanda da porsi è: se però, come nel recente caso dello IUS SOLI, la politica continua a strumentalizzare questo tema, si potrà pervenire ad una riforma ponderata e non meramente simbolica della norma? Ai posteri l’ardua sentenza.