Ragazzi senza paidéia


Anche le strade da cartolina del lungomare di Napoli sono diventate, da qualche giorno, la pista lungo la quale torme  di ragazzini prepotenti e incivili, provenienti dalle periferie urbane e dai quartieri a ridosso delle vie centrali, sfogano i loro istinti da bulli contro chiunque non trovino di proprio gradimento. Si  va dall’aggressione verbale, agli spintoni, dal lancio di sassi alla rapina a mano armata e il tutto senza una motivazione, per divertirsi a danno degli altri, per ridere del loro spavento, per dimostrare di non temere niente e nessuno, per far capire che la legge è per loro qualcosa di cui farsi beffe e chi la applica ha un motivo in più per essere  preso di mira e diventare oggetto delle loro incursioni.
Gli stessi proprietari e gestori dei locali del posto denunciano una situazione divenuta insopportabile per  lo svolgimento sereno delle proprie attività, con avventori che, sempre più spesso, non ritornano nei loro esercizi commerciali, dopo aver vissuto una  esperienza amara e spiacevole  che preferiscono non ripetere, data anche la presenza, tra loro, di bambini e anziani. Chi sceglie via Partenope e dintorni  per rilassarsi con  una passeggiata lungo uno dei percorsi  più spettacolari del pianeta ed ha la sfortuna di imbattersi, anche a distanza, in questa nuova calamità dei nostri tempi, opta per altri lidi più tranquilli dove poter trascorre  il proprio tempo libero.
In sostanza, la  forza ignorante propria di chi non riconosce autorità  e regolamentazione alcuna, di chi preferisce vivere in una anarchia di comodo perché tutto gli è permesso, si è riversata in ogni strada della nostra città e tiene in ostaggio, condizionandone le abitudini, la gente per bene, che usa il linguaggio delle parole misurato con l’intelletto  anziché quello intimidatorio degli spari,  delle pietre, delle mani, degli sputi e degli insulti.
L’amaro fenomeno delle baby gang, sempre più presente nelle cronache recenti, denuncia, in primis, la clamorosa assenza, nel caso di questi adolescenti a dir poco inquieti, delle due istituzioni base che, con reciproca collaborazione, dovrebbero accompagnare la crescita e lo sviluppo intellettuale del giovane: la famiglia e la scuola.
Senza di esse non esiste educazione, sia in quanto patrimonio di valori e conoscenze tramandato di generazione in generazione per essere sempre più affinato e per affinare le asperità giovanili, sia in quanto formazione della persona come membro della società, in  continua relazione con i suoi pari per realizzare il bene della comunità in cui  vive e, in tal modo, anche il proprio.
Secondo l’ ideale di paidéia, ossia il complesso educativo, formativo e didattico dei giovani  nella Grecia del V sec. a.C.,la realizzazione dell’uomo, individuabile nel raggiungimento della sua libertà, si attua proprio in quanto egli è un cittadino e, tramite l’educazione,  passa dalla piccola comunità familiare a quella più grande della pόlis, appunto, della sua città. 
Anche il metodo di insegnamento dei sofisti , che avevano tolto ai padri il ruolo di gestori dell’ istruzione dei propri figli, si risolse nel formare fanciulli e poi uomini in grado di muoversi con cognizione di causa in casa propria  e in mezzo agli altri.
L’acquisizione di una educazione, secondo i principi della paidéia, avveniva contestualmente a quella del sapere; il giovane ben formato era , di conseguenza ,anche virtuoso e poteva ben operare nella sua città, senza la quale il complesso delle sue capacità diventava incompleto poiché privato della sua zona principale di azione.
Trasferendo il concetto ai giorni nostri, famiglia e scuola, quindi, per plasmare individui che possano trasferire il loro patrimonio di esperienze alla collettività, avere un ruolo produttivo per se stessi e per gli altri e trasmettere ai figli che verranno sani principi e rispetto verso il prossimo.
Orbene, niente di tutto questo in bande di  ragazzini terribili che prendono d’assalto gli indifesi,che si fanno beffe delle autorità e ne vanno fieri, che minacciano e non esitano a ricorrere alle armi, i cui punti di riferimento sono simboli della cultura ( anche se non è appropriato definirla tale) della sopraffazione e della vuota apparenza, inculcata, evidentemente, non da genitori presenti ed interessati e da una scuola che rifiutano, ma da modelli estranei al loro nucleo di crescita. Nessun indizio che porti a una rieducazione, all’inizio di una sorta di paidéia che possa farli rientrare nel circuito di una società dalla quale si sono allontanati, ricoprendo un ruolo sterile e diventando, senza saperlo, degli emarginati.