Terrorismo: in Italia ancora pochi mediatori culturali


Paura, allarmismo, morte. Non è la trilogia di un film, ma lo scenario che si ripete, da due anni a questa parte, in Europa. Protagonista indiscusso l’Isis, che atterrisce e rompe gli equilibri, con attentati premeditati, veri, presunti o semplicemente rivendicati. Abbiamo assistito ad un cambio repentino di strategia del terrore, passando dagli attacchi meticolosi di al-Qaida a quelli dell’Isis, che nell’ultimo biennio ha compiuto attentati con armi, bombe, cinture esplosive e quattro attacchi con veicoli, come auto e camion, lanciati in velocità contro le folle. All’inizio del 2015, pistole e fucili insanguinarono Parigi e Copenaghen. Con un crescendo di follia hanno atterrito stadi, aeroporti, teatri, concerti, chiese e strade. A Bruxelles, Berlino, Londra, Manchester, Teheran. Con uno scalare di violenza e di follia. Senza obiettivi e modus operandi, come nel caso delle finte cinture esplosive. Angoscia e sangue, mentre altrove si festeggia nel nome di Allah, si bruciano bandiere e persone, si inneggia alla morte. Nel nome di un Dio Clemente e Misericordioso, nel nome delle 72 vergini del Paradiso (islamico). Di ideologia contorta, difficile da sradicare, l’ideologia islamista fa proseliti, soprattutto in Occidente. I numeri crescono, anche a causa di un folto esercito di immigrati, che giorno dopo giorno trova asilo nel nostro territorio. Secondo gli ultimi dati raccolti nel dossier Statistico-Immigrazione 2016, i musulmani rappresentano il 32% degli immigrati. Per la Co.Re.Is i musulmani presenti in Italia sono un milione e seicentomila, tra i quali 150 mila italiani. Per alcuni si tratta di dati marginali. Per le persone comuni, di dati preoccupanti. Viene da chiedersi dove siano tutti questi musulmani e soprattutto cosa possa spingere un occidentale ad abbracciare una religione i cui valori sono posti agli antipodi del nostro modo di vivere e di pensare. Cosa può mai indurre una ragazza occidentale a passare dalla minigonna allo chador? Se alcune ideologie islamiche riescono a fare breccia nel cuore di un occidentale, fin dove possono spingersi menti labili o immigrati di seconda e terza generazione, che pagano l’inevitabile scotto della mancata integrazione? E in Italia, siamo davvero a rischio? Per E. Luttwak, intervistato dal Giornale dopo l’attentato di Londra, “i servizi europei, con l’eccezione di quelli italiani, sono specializzati nella compilazione di dettagliate biografie, schedano i soggetti a rischio radicalizzazione lasciandoli però indisturbati sul territorio nazionale…in Italia non si sono registrati a oggi attentati per l’efficacia degli apparati. Gli agenti non si appassionano alle biografie, ma agiscono con arresti ed espulsioni, senza attendere il morto”. A dir il vero, si può dissentire. Nonostante gli impegni assunti da Minniti, che di fatto ha esperienza in materia di sicurezza e terrorismo, forse si fa troppo poco sia in materia di integrazione che di controllo. Non esistono in concreto mediatori culturali, persone capaci di ascoltare e di rispondere nella loro lingua – l’arabo – negli uffici, nelle scuole o negli ospedali. Non c’è alcun controllo nelle moschee e nelle sale di preghiera e non vi sono registri per gli accessi, né controlli delle prediche degli Imam. Che vi sia penuria di interpreti? Non è credibile. Anche qui pesa il sistema Italia, con gli interpreti occidentali di lingua araba pagati poco, pagati male o non pagati affatto. Chiamati senza regolarità, retribuiti ad anni di distanza e usati per tradurre notifiche e precetti per partecipare a giudizi direttissimi relativi alla vendita di oggetti contraffatti, mentre potrebbero controllare stabilmente cosa accade nei punti di preghiera e di ritrovo. Le traduzioni sembra siano affidate sempre alle stesse persone, scelte sulla base di chiamate dirette o con criteri sconosciuti. La maggior parte risulterebbe abbiano abbandonato ogni ambizione di collaborazione con le Autorità, perché si sono sentiti messi in angolo. Niente a che vedere con la professionalità. Fa sorridere, a tal proposito, anche leggere l’ultimo bando emanato dal Ministero degli interni relativo a “250 posti di funzionari amministrativo da destinare esclusivamente alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ed alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo”. Tra i titoli di studio, si preferiscono i laureati in Pubblicità e comunicazione di impresa, in Teorie e metodologie dell’e-learning e della media education …. ma un laureato in lingua e cultura araba non può partecipare. Allora si ride davvero, ma dalla rabbia. Finché anche da noi ci scapperà il morto.