La chiamano tri…vialità


Sono solo i soliti cori triviali e beceri di una sparuta frangia di disadattati. Così vengono definiti gli epiteti che domenica dopo domenica vengono rivolti al popolo dei tifosi meridionali, in particolare ai partenopei. Ebbene se tali minoranze, comunque sparse in ogni stadio della penisola, si fanno ben sentire, forse forse, tanto sparute non lo sono più. Come si spiega la sordità che colpisce gli arbriti di gara di fronte a tali fenomeni? Eppure c’è stato chi è riuscito a decifrare il labbiale di un giocatore, giungendo addirittura a tradurre un’imprecazione proferita in macedone (Pandev, finale Supercoppa n.d.r.) che gli costò l’esplusione diretta. Il fatto di classificarli semplicemente beceri, cioè offensivi per ignoranza, quindi volgari e rozzi, non li giustifica, anzi impone, a quanti sottendono al fair-play ed al rispetto sportivo, di stigmatizzare tali episodi e punire questi atteggiamenti. Il massimo a cui si asstiste attualmente è l’irrogazione di una sanzione pecuniaria alla società sportiva a cui afferiscono i trogloditi. Due osservazioni a riguardo e non mi soffermo sull’entità della sanzione, spesso irrisoria e simbolica: la prima riguarda il soggetto passivo, viene multata la società e i veri colpevoli la fanno franca; la seconda riguarda la destinazione della somma pagata che non va a risarcire i veri danneggiati. Il problema c’è e va attenzionato: chiudiamo per un po’ di giornate la curve becere, squalifichiamo i campi incivili. Di recente, l’ultima tifoseria che si é macchiata di questa onta, anziché scusarsi e fare ammenda ha ritenuto opportuno confermare le affermazioni dichiarate nei cori anti-napoletani, qualificandole come sfottò e sintomo di rivalità. Ma questi sono altri concetti che richiedono intelligenza ed ironia. Chi non ricorda il riferimento alle abitudini “leggere” di una certa Giulietta da Verona? Coloro che augurano il male ai propri avversari, fino alla morte, non suscitano alcuna ilarità e certamente non possono definirsi sportivi. Costoro dovrebbero vergognarsi, non frequentare più gli stadi ma rendersi utili al prossimo attraverso attività umanitarie e sociali. È ancora lunga la strada verso il terzo tempo, loro NON SONO NAPOLETANI, e non c’è dubbio, voglio convincerci che sono pochi, sono sparute frange di imbecilli, sono solo beceri e triviali insomma, per dirla con Eduardo “è cose ‘e niente”. Ma non si può accettare tutto questo come fosse niente, rischiando di diventare a nostra volta niente, annullando la nostra coscienza e la nostra identità. Ignoriamoli, magari compatiamoli ma soprattutto indigniamoci, sempre.