Tutta colpa dello shale oil


Nonostante i tagli alla produzione decisi ieri a Vienna dall’Opec, il cartello dei maggiori paesi produttori di petrolio, il prezzo del petrolio continua a scendere.
Siamo oramai intorno ai 50 dollari al barile.
I paesi del consorzio petrolifero, infatti, hanno deciso di estendere l’accordo firmato nel novembre scorso per il taglio della produzione di greggio, che doveva durare fino al prossimo 30 giugno ma che sarà prorogato sino a marzo 2018 senza, tuttavia, aumenti nella percentuale di diminuzione della produzione già prevista.
Una scelta che, secondo alcuni analisti, ha lasciato delusi gli investitori che non credono che gli attuali tagli, considerato anche le cospicue scorte, potranno smaltire l’eccesso di petrolio sul mercato. Tale sfiducia, avrebbe fatto calare ulteriormente le quotazioni del greggio.
Altri analisti, tuttavia, ritengono che la situazione di difficoltà sia dovuta allo shale oil, ossia alla disponibilità sempre maggiore di olio ottenuto dalla frantumazione delle rocce piuttosto che dalle canoniche perforazioni.
Sia come sia, per l’una o l’altra spiegazione o per il combinato effetto di entrambe, il prezzo al barile non è difficile prevedere potrebbe scendere ancora.
Se, da un punto di vista dell’automobilista, appare che la diminuzione del prezzo del greggio sia una cosa buona sperando nella diminuzione del costo dei prodotti petroliferi alla pompa, in realtà il crollo del costo del petrolio pone non poche preoccupazioni sugli scacchieri economici mondiali.
Innanzi tutto i paesi produttori di petrolio sono partner commerciali delle nazioni occidentali e, segnatamente, europee. La diminuzione dei loro introiti, causa un calo nella domanda di beni e servizi che loro possono acquistare da noi.
Altri paesi, come ad esempio Nigeria e Brasile, hanno puntato molto sul petrolio per garantire la loro crescita interna in termini economici e, soprattutto, sociali. Si tratta spesso di democrazie giovani e ancora instabili che potrebbero non sopportare l’urto di una feroce depressione economica. Ancora una volta, potremmo essere interessati a mantenere stabili (e fuori dalle grinfie di fondamentalismi) tali aree geografiche, anche a patto di pagare la benzina qualche centesimo di più al litro.
Inoltre c’è il discorso etico inerente le migliaia di posti di lavoro a rischio nel settore.
Le Compagnie petrolifere, e anche quelle dell’indotto, al diminuire dei profitti innanzi tutto ridimensionano gli organici.
Infine, ma non da ultimo, la considerazione che molte Società petrolifere sono quotate in borsa e numerose loro azioni sono nel portafoglio di tutti gli investitori mondiali (specie quelli occidentali). Una loro debacle, inevitabilmente, produrrebbe una crisi mondiale del sistema borsistico azionario.
Insomma, siano le scelte poco oculate dal parte dell’OPEC, sia la superproduzione di greggio con la tecnica dello shale oil, sarebbe meglio che il prezzo del petrolio non continuasse la sua discesa oltre un certo limite.