Il fascismo di sinistra


(nella foto: Nicola Bombacci, Civitella di Romagna 24 ottobre 1879 – Dongo 28 aprile 1945)

Nel 1800 si diedero vita ai cosiddetti circoli culturali, li ho sempre immaginati zeppi di giovani pronti a scambiarsi idee e passioni, pronti a estremi sacrifici pur di vedere realizzati i propri ideali, ma ahimè Iddio mi ha fatto nascere nel secolo del relativismo, del nichilismo, del grande fratello e isole più o meno abitate da personaggi famosi. Nonostante questa punizione inflittami, nemmeno il Sommo poeta me ne avrebbe ritagliata una più crudele, sono riuscito a creare con un caro amico ed una cara e bellissima collega un piccolo salotto dove poter discutere di politica, economia, filosofia e storia, senza che qualche figura più o meno assurda del panorama televisivo sia oggetto di discussione. Si perché i giovani d’oggi preferiscono parlare di attorucoli da quattro soldi, di cantanti spacciati per poeti le cui frasi sono state pubblicate anche dai famosi baci p.… Si perché oggi se discuti di argomenti che tendono ad elevare gli spiriti sei visto come un tipo strano uno che ha qualche problema mentale, ma se non perdi l’ultima puntata dell’isola o del grande fratello sei uno che sta nel cerchio. Preferisco stare fuori dal cerchio, ma mi arrendo ormai all’evidenza che ciò che mi circonda è solo merda e non avrò la possibilità né di farla una rivoluzione socialista ne di vederla, purtroppo manca in primis la mente suprema e in secondo le menti pronte ad accogliere il suo pensiero. Ma ciò non mi impedirà comunque di sognare una rivoluzione che metta l’individuo al centro di ogni pensiero di ogni azione. La destra è censura, reazione, bigotteria, se ho un’appartenenza culturale è più al fascismo che alla destra, che mi fa schifo. Il fascismo che ho conosciuto in famiglia è quello libertario, gaudente, generoso. Penso al fascismo rivoluzionario dell’inizio e della fine, quello che non conserva ma cambia, quello socialista e socialisteggiante. Se infatti storicamente il fascismo nasce con Mussolini e “Il Popolo d’Italia” tra il 1914 e il 1919 da una scissione del partito socialista, potremmo retrodatarlo al 1899 con la pubblicazione del saggio di Giovanni Gentile su “La filosofia di Marx”, che venne considerato da Lenin uno degli studi più interessanti e profondi sull’essenza teoretica del pensatore. Del marxismo, Gentile respingeva il materialismo ottocentesco ma ne abbracciava con entusiasmo l’ultramoderna dimensione di «filosofia della prassi», tesa non solo a interpretare il mondo ma a cambiarlo. Il fascismo, quindi, non sarebbe affatto una negazione del marxismo, ma piuttosto una sua “revisione” che reinterpreta la prassi come spiritualità (Giovanni Gentile). Il fascismo si prospetta, insomma, come una rivoluzione ulteriore rispetto a quella marxista-leninista. Un passo in avanti una conquista ulteriore. D’altro canto, divenuto filosofo ufficiale del fascismo, Gentile ripubblicò il suo libro su Marx nel 1937, nel pieno degli “anni del consenso”. E quando, nel giugno 1943, pronunciò in Campidoglio il Discorso agli italiani per esortarli a resistere agli anglo-americani, si rivolse espressamente agli ambienti di sinistra presentando il fascismo come «un ordine di giustizia fondato sul principio che l’unico valore è il lavoro». Anzi precisò: «Chi parla oggi di comunismo in Italia è un corporativista impaziente». Lo stesso Lenin del resto, rivolgendosi nel 1922 al comunista Nicola Bombacci, aveva potuto dire: «In Italia c’era un solo socialista capace di fare la rivoluzione: Benito Mussolini».
Nel fascismo di sinistra ci sono davvero tante cose: il percorso politico dello stesso Bombacci, il comunista finito a Salò e appeso con Mussolini a Piazzale Loreto; la covata ribelle dei giovani intellettuali aggregati attorno all’ex anarchico fiorentino Berto Ricci ed alla sua rivista “L’Universale”; quell’insieme, a volte discorde e contraddittorio, di sentimenti, di posizioni, di prospettive e di progetti che si fondavano sulla persuasione di vivere nel fascismo e attraverso il fascismo una sorta di palingenesi rivoluzionaria, la prima vera rivoluzione italiana dall’unità, che ha indotto gli storici a parlare della cosiddetta “sinistra fascista”.
E delle varie anime del fascismo, la “sinistra” fu sicuramente la più vivace. Ancorata al Risorgimento mazziniano e garibaldino, la sinistra fascista cercò di incarnare un progetto che era nato prima del fascismo e che mirava ad oltrepassare la stessa esperienza mussoliniana. E se nei primi tempi essa si tradusse essenzialmente nello squadrismo e nel sindacalismo, verso la metà degli anni ’30 aggregando soprattutto i giovani universitari, gli intellettuali e i sindacalisti si fece portatrice di un “secondo fascismo” teso a superare la società borghese. Non è un caso che i vari Bilenchi, Pratolini e tutti i giovani intellettuali del cosiddetto “fascismo di sinistra”, oltre che in Berto Ricci, trovassero un punto di riferimento nel fascista anarchico Marcello Gallian. «I libri di Gallian», scriveva Romano Bilenchi su “Il Popolo d’Italia” del 20 agosto 1935, «sono documenti… E un documento su di un periodo rivoluzionario non creduto compiuto non avrà fine finché tutta la rivoluzione non sia realizzata» (fonte Del Noce).
Quest’anima di sinistra conviverà nei vent’anni del regime con altre componenti, nonostante il suo essere per molti versi un progetto mancato a causa della monarchia. Marcherà sempre il Ventennio, influendo decisamente sull’identità culturale sia del fascismo che del postfascismo. Resta agli atti che il 16 novembre 1922, proprio con un intervento alla Camera di Mussolini presidente del Consiglio, l’Italia fu il primo dei paesi occidentali a dichiararsi disponibile al riconoscimento internazionale dell’Unione Sovietica. Un’apertura che, almeno fino alla guerra di Spagna, non verrà mai meno. Nel giugno 1929, Italo Balbo, in una delle sue celebri trasvolate dall’Italia approdò a Odessa nell’URSS, e lì venne accolto con un picchetto d’onore. E il 4 dicembre 1933, Mussolini ricevette ufficialmente a Palazzo Venezia il ministro degli esteri russo Litnov: da tre mesi i due paesi avevano sottoscritto un patto d’amicizia e l’occasione rafforzò ulteriormente le buone relazioni.
Erano gli anni in cui il filosofo Ugo Spirito arrivava a teorizzare – nel convegno di Studi corporativi di Ferrara del 1932 – la “corporazione proprietaria” che prevedeva di fatto l’abolizione della proprietà privata, e in cui pullulavano le pubblicazioni addirittura filosovietiche, tra le quali un libro di Renzo Bertoni che, reduce da una permanenza nell’Unione Sovietica, pubblicava nel 1934 un libro intitolato addirittura “Il trionfo del fascismo nell’URSS”, sulla cui copertina si vedeva uno Stalin con la mano aperta e in una didascalia si leggeva: «Stalin saluta romanamente la folla». (fonte Roberto Bianchi)
Poi, la guerra di Spagna, la seconda guerra mondiale e la repubblica di Salò. E proprio quest’ultima scatena vivaci discussioni tra Mussolini e Hitler. Per il dittatore tedesco quell’esperienza doveva chiamarsi “Repubblica fascista italiana”. Mussolini, invece, senza più obblighi compromissori con la monarchia e gli ambienti conservatori, avrebbe preferito “Repubblica socialista italiana”, tornando in qualche modo alle suggestioni sansepolcriste. Ma di quell’aggettivo che puzzava di sovversione e di marxismo Hitler non volle sentirne parlare. E alla fine si accordarono su “Repubblica Sociale Italiana”. E sia pure ridotto a “sociale”, la parola socialista tornava nel lessico dei fascisti. Tanto da emozionare il socialista della prima ora ed ex comunista Nicola Bombacci, colui che aveva fatto adottare il simbolo della falce e martello ai comunisti italiani e a farlo riappacificare con Mussolini: «Duce…» – gli scrive l’11 ottobre 1943 – «…sono oggi più di ieri totalmente con Voi. Il lurido tradimento Re-Badoglio che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l’Italia, Vi ha però liberato di tutti i componenti pluto-monarchici del ’22. Oggi la strada è libera e a mio giudizio si può percorrere sino al traguardo socialista». (fonte Nicola Bombacci)
In uno degli articoli scritti poco prima di essere ucciso dai partigiani, il giornalista Enzo Pezzato redattore capo a Salò di “Repubblica fascista”-scrisse: «Il Duce ha chiamato la Repubblica “sociale” non per gioco: i nostri programmi sono decisamente rivoluzionari, le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero “di sinistra”».
E nei giorni del crepuscolo di Salò, Mussolini confiderà al giornalista socialista Carlo Silvestri: «Il più grande dramma della mia vita si produsse quando non ebbi più la forza di fare appello alla collaborazione dei socialisti e di respingere l’assalto dei falsi corporativi. I quali agivano in verità come procuratori del capitalismo… Tutto quello che accadde poi fu la conseguenza del cadavere di Matteotti che il 10 giugno 1924 fu gettato fra me e i socialisti per impedire che avvenisse quell’incontro che avrebbe dato tutt’altro indirizzo alla politica nazionale». (tratto dall’ultima intervista di Mussolini)
L’esperienza della RSI non fu un unicum: Fu un fenomeno pluralistico. Al suo interno vi erano esponenti della stessa sinistra antifascista disposti a collaborare per l’attuazione del cosiddetto “Manifesto di Verona”: oltre a Bombacci e a Carlo Silvestri, Edmondo Cione, Germinale Concordia, Pulvio Zocchi, Walter Mocchi e Sigfrido Barghini. Accanto a loro c’era, soprattutto a Salò, una vasta aggregazione più coerentemente e conseguentemente rivoluzionaria, socializzatrice, popolare-nazionale, libertaria. Disponibile, inoltre, quest’ultima, e anzi fautrice, del dialogo con l’antifascismo, proclive alla più ampia democratizzazione della Repubblica, decisa a resistere alle interferenze e alle rapine naziste, inequivocabilmente antiborghese e anticapitalista. E anche per questo che Bombacci salutò per l’ultima volta quella “rossa repubblica”, prima che i partigiani lo fucilassero, con le parole: «Viva Mussolini! Viva il socialismo!». Qualcuno potrà non capire perché ho usato il termine sinistra, sinistra perché il fascismo è un’ideologia di sinistra,(però differisce del suo più accanito avversario, il comunismo, che ingabbia l’individuo nella statica lotta di classe) rivoluzionaria e antiborghese. Il movimento fascista è un movimento rivoluzionario, moderno, avanguardistico. Esso racchiude varie ideologie apparentemente in antitesi tra di loro: abbiamo dentro monarchici reazionari (De Bono), sindacalisti rivoluzionari (come il defunto Corridoni), futuristi (che non ho mai capito dove ***** volevano andare a parare…), arditi, socialisti (Mussolini), repubblicani (Balbo). I 4 fasci (che rappresentavano i 4 quadrumviri: Balbo, Mussolini, De Bono e De Vecchi), racchiusi in un’unico fascio rappresentavano appunto l’unione di tante ideologie diverse tra di loro in un’unica sola: la Patria. L’ideologia fascista fu dunque essenzialmente rivoluzionaria, di sinistra: bisognava formare una nuova Italia, un nuovo italiano che ragionasse secondo i nuovi dettami di questa rivoluzionaria idea.
Viva sempre l’idea ch’è stata, è, e sarà la più originale, la più mediterranea di tutte le idee.